La biodiversità attuale attraverso lo studio degli incendi: l’analisi dei microcarboni e del polline in Toscana

Nov 2024 – Antonio Massariolo

“Tutto nasce dalla necessità di investigare la biodiversità attuale e la biodiversità attuale, non è altro che il frutto di un lungo processo di evoluzione che ha visto alternarsi sia fattori climatici, ma soprattutto, dato che siamo nel Mediterraneo, il fattore antropico. Con la sua azione l’uomo ha continuato nel tempo a modellare il paesaggio a sua immagine e somiglianza, in base alle esigenze che esso aveva”

Le parole sono di Eleonora Clò, del laboratorio di Palinologia e Paleobotanica, Dipartimento Scienze Vita, dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Modena, che, assieme alle colleghe Elisa Furia, Assunta Florenzano e Anna Maria Mercuri, hanno realizzato un duplice studio per capire come negli anni sia cambiata la biodiversità dell’Italia centrale. 

Il primo studio: i microcarboni

Il primo paper, intitolato Human-induced fires and land use driven changes in tree biodiversity on the northern Tyrrhenian coast, si focalizza sull’impatto che hanno avuto i fuochi provocati dall’uomo nella costa settentrionale tirrenica, in particolare concentrandosi sulle valli del Cornia e del Pecora in Toscana. Questo studio fa parte del progetto nEU-Med, che ha indagato aspetti di tipo archeologico, cioè lo studio dello scenario economico che si era instaurato nel sud della Toscana tra il VII e il XII secolo. Le ricercatrici hanno incentrato l’attenzione sulla biodiversità vegetale attraverso indagini palinologiche.

Il territorio scelto, quindi l’area situata tra le Colline Metallifere e la costa della Maremma, è stata storicamente influenzata dall’attività umana fin dall’età del Bronzo. Lo studio ha utilizzato l’analisi dei microcarboni e del polline per identificare i fuochi locali e regionali e valutare le conseguenze sulla copertura vegetale. Le particelle di microcarbone sono state classificate in base alla loro dimensione per distinguere tra incendi locali (particelle grandi) e regionali (particelle più piccole). L’analisi dei campioni ha incluso anche la datazione al radiocarbonio per costruire modelli di profondità-età.  L’analisi è stata svolta su 76 campioni divisi in quattro carotaggi raccolti in quattro diversi punti. I carotaggi spaziano su un arco temporale differente: quelle della Valle del Cornia sono più antiche e arrivano fino a 7.500 anni fa mentre quelle della Valle del Pecora sono più recenti, 3.200 anni.

Lo studio è basato sull’analisi di microcarboni, da cui si possono rilevare informazioni del passaggio del fuoco. Questi microcarboni sono stati suddivisi in tre classi sulla base di diverse dimensioni: da 10 a 50 μm, da 50 a 125 μm e maggiori di 125 μm. I microcarboni, quando analizzati al microscopio, danno informazioni diverse: più grandi sono e più danno informazioni di fuochi locali, quindi fuoco che è avvenuto in loco vicino al carotaggio analizzato, mentre più sono piccoli più possono essere trasportati dal vento anche a lunghe distanze.

“Ci sono sia similitudini che diversità in queste due valli - continua Eleonora Clò - e in particolare entrambe si vede un aumento sia della frequenza che dell'intensità degli incendi negli ultimi 1200 anni. Questo in particolare si nota nella Valle del Pecora che è sicuramente la più antropizzata delle due”.

Lo studio, quindi, mette in luce come l'uso del fuoco, legato a scopi agricoli ed economici, abbia modellato il paesaggio toscano, alterando la struttura della vegetazione e promuovendo lo sviluppo di comunità arbustive a scapito dei boschi più stabili e diversificati. 

Il secondo studio: il polline

Il secondo studio invece si intitola Flora-vegetation history and land use in Medieval Tuscany: The palynological evidence of a local biodiversity heritage ed è strettamente correlato al primo per diversi motivi. In primis l’analisi è stata effettuata sugli stessi identici carotaggi in un’area che vede lo sviluppo culturale fin dalla preistoria, in quanto nella zona studiata si ha la prima presenza umana dall'età del Bronzo, più o meno 3.600 anni fa, con un grande sviluppo culturale sul periodo etrusco-romano. Lo studio si concentra in particolare su quello medievale, dove è nata una rete di città e un'intensa antropizzazione del territorio.

“Lo studio del polline è fondamentale per conoscere il passato - continua Eleonora Clò parlando del secondo studio - perché il polline è un elemento che si conserva molto bene nei sedimenti, nei suoli del passato, in quanto molto resistente. Quindi questo ci permette di capire che flora e che vegetazione c'era nel passato. Analizzando il polline abbiamo notato che queste due valli, anche in questo caso, presentano similitudini e diversità. La Valle di Cornia è una valle in cui c’è sempre stata più biodiversità, soprattutto per quanto riguarda la presenza di specie arboree, con una copertura forestale più ampia rispetto a quella della Valle del Pecora. Abbiamo notato la presenza, ad esempio in età medievale, della coltivazione del Castagno o del Pruno, che sono alberi da frutto utili all'uomo”.

“Nella Valle del Pecora, invece, sin da 3.200 anni fa vediamo un paesaggio più aperto, poco bosco e c'è soprattutto acqua dolce, e questo aspetto ha portato chiaramente a una più facile colonizzazione da parte dell'uomo. Ma soprattutto si vede uno sfruttamento del territorio che è più votato alla pastorizia rispetto a quanto si vede nella Valle del Cornia”.

Insomma l’analisi ha evidenziato un incremento degli indicatori di attività umana durante il Medioevo. Le percentuali di polline legate alle attività agricole e al pascolo sono aumentate, riflettendo lo sviluppo economico e la gestione delle risorse naturali da parte delle comunità locali. L'analisi palinologica quindi ci suggerisce che l'uso diversificato del territorio ha contribuito alla creazione di un patrimonio di biodiversità locale, visibile ancora oggi.

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