National Biodiversity Future Center, si chiama così il centro nazionale per la biodiversità che ha il compito di conservare, ripristinare, monitorare e valorizzare la biodiversità italiana e mediterranea. Un grande progetto istituito e finanziato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza PNRR – Next Generation EU e promosso dal Cnr insieme a 49 partner, tra università, centri di ricerca, fondazioni e imprese e coinvolge più di 2.000 ricercatori. Un progetto finalizzato a studiare e salvaguardare la biodiversità italiana, consapevoli che nel nostro Paese è concentrata una diversità biologica tra le più significative di tutta l’Europa, con 60.000 specie animali, 10.000 piante vascolari e oltre 130 ecosistemi.
Ma quanto gli italiani ne sanno sulla biodiversità? Da questa domanda è partita un’indagine dell’NBFC. Il rapporto di ricerca a cura di Federico Neresini, Stefano Crabu, Paolo Giardullo, Barbara Morsello e Nicoletta Parise ha voluto capire di più sulle conoscenze dei nostri concittadini sul tema. L’obiettivo è stato quello di analizzare in maniera approfondita le percezioni, i comportamenti e le conoscenze dei cittadini italiani relative alla diversità biologica, o biodiversità appunto, di organismi viventi e dei rispettivi ecosistemi. Il risultato, poi, è utile per progettare iniziative di comunicazione, coinvolgimento, formazione e sensibilizzazione sul tema.
L’indagine è stata realizzata nel mese di giugno 2023 ed ha coinvolto 1.517 persone residenti in Italia con almeno 16 anni di età. Le risposte sono state raggruppate in tre diverse sezioni: la prima, “Percezioni, forme di conoscenza e ricerca di informazione”, dedicata alla descrizione e all’analisi delle opinioni, degli atteggiamenti, delle conoscenze, delle fonti d’informazione, dell’interesse e dei comportamenti della popolazione italiana nei confronti della biodiversità. La seconda, “Target comunicativi: analisi e caratterizzazioni”, è finalizzata a individuare e caratterizzare i potenziali target delle differenti azioni di comunicazione che verranno progettate e implementate nell’ambito del NBFC. La terza, “Raccomandazioni per la comunicazione”, suggerisce appunto alcune raccomandazioni per progettare le attività di comunicazione e per valutarne l’impatto.
Il rapporto degli italiani con la natura
Partendo dalla prima sezione, vediamo come i ricercatori abbiano voluto fare una panoramica innanzitutto delle abitudini degli intervistati. Ne è emerso uno spaccato interessante in cui si nota che le attività all’aria aperta, che sono un primo elemento importante per cogliere l’esposizione e l’interesse verso tematiche di rilievo ambientale, sono state fatte almeno una volta nell’ultimo anno da quasi l’80% del campione. Il 70% invece ha dichiarato di aver visitato parchi o orti botanici almeno una volta. Tutta questa attività all’aria aperta però, non sembra tramutarsi in azioni concrete: solo il 5,8% del totale ha partecipato ad attività di citizen science più di una volta nell’ultimo anno e solo il 19,1% ad azioni concrete di interventi di volontariato ambientale, come la pulizia dei boschi o delle spiagge. Ciò che potrebbe far ben sperare è che la quota maggiore delle persone iscritte ad un’associazione ambientalista la ritroviamo nella fascia d’età 16-34.
Il rapporto degli italiani con l’informazione
Il rapporto, poi, ha voluto indagare su cosa gli italiani si informano. Il risultato è che il 45,5% dei nostri concittadini segue frequentemente notizie su ambiente e natura, un dato superiore a quello di altri temi di attualità come economia o politica. Tuttavia, quando si parla di priorità ambientali, la perdita di biodiversità non figura tra le principali preoccupazioni. Se a livello globale il 33,9% degli intervistati considera la perdita di specie animali e vegetali un problema urgente, a livello locale la percentuale scende drasticamente all'11,2%.
A questo bisogna aggiungere anche il fatto che dall’indagine emerge una chiara differenza di percezione tra i problemi ambientali che sembrano avere un’immediata ricaduta sulla qualità della vita quotidiana, come ad esempio l’inquinamento dell’aria, e le questioni più “lontane”, come l’inquinamento dei mari o quello del suolo agricolo che vengono percepite con una preoccupazione decisamente minore.
Anche in questo caso, se si va ad osservare la fascia d’età che più si preoccupa per l’estinzione delle specie animali, vegetali e di habitat, è sempre quella dei più giovani, cioè quella tra i 16-34 anni. Sono loro ad indicare ciò come un problema a livello globale (35,1%) rispetto al totale dei rispondenti (27,4%).
Il termine biodiversità
Quanta biodiversità c’è negli studi sulla biodiversità è una domanda che sembra da metascienza, ma la risposta è arrivata sempre da uno degli studi del National Biodiversity Future Center. Quella breve è: “poca”; la risposta lunga invece l’abbiamo analizzata in un altro articolo. Quanta biodiversità c’è invece nella mente degli italiani è ciò che si sono chiesti i ricercatori. Il 44% degli intervistati ha dichiarato di aver sentito parlare di biodiversità e di sapere esattamente ciò di cui si parla, cosa che invece il 50% dice di non essere sicuro. Il 6% infine ha dichiarato di non aver nemmeno mai sentito parlare di questo termine.
Insomma l’aspetto positivo è che il 94% degli italiani ha sentito parlare di biodiversità, anche se solo il 44% afferma di conoscerne il significato esatto. Il livello di conoscenza poi aumenta con il grado di istruzione: il 67,2% dei laureati dichiara di sapere cosa significhi biodiversità, contro il 30,4% di chi possiede solo l'obbligo scolastico.
A ciò bisogna aggiungere che il 68,4% degli intervistati riconosce correttamente che la perdita di biodiversità incide sul benessere umano e che sia un problema i cui effetti sono già evidenti (67%), ma solo il 62,8% identifica come minaccia l'introduzione di specie aliene, dimostrando così incertezze su tematiche centrali della crisi ecologica.
Chi deve contrastare la perdita di biodiversità?
Quasi un italiano su due ripone fiducia e speranza nelle università e negli Istituti di ricerca. Secondo il 48% infatti sono loro i veri protagonisti delle azioni di contrasto alla perdita di biodiversità, molto più che i gruppi ambientalisti (11%) e le aziende agricole (9%). Solo il 3% attribuisce un ruolo centrale al settore industriale e dei servizi, mentre un preoccupante 5% afferma di non avere fiducia in nessun attore istituzionale.
Il fatto che ci sia una sensibilità sul tema è dimostrato anche dal dato che emerge dalle risposte alla domanda su quali potrebbero essere le strategie più utili per contrastare la perdita di biodiversità. Quasi tutte quelle proposte incontrano un numero considerevole di preferenze, in primis il “re-inserire specie animali e vegetali”; “creare aree protette”; “proteggere le specie vegetali in orti botanici o aree protette”; “finanziare interventi di ripristino imponendo tasse aggiuntive alle aziende pericolose per l’ambiente” secondo il principio del “chi inquina paga” (Polluter Pay Principle), ovvero uno dei principi cardine della legislazione europea per la tutela dell’ambiente, applicata anche ai servizi ecosistemici.
Al contrario, strategie come la protezione delle specie in zoo e parchi faunistici suscitano opinioni contrastanti, mentre l’idea del rewilding (lasciare la natura riprendersi da sola) non trova un grande sostegno nella popolazione.
L’importanza della comunicazione
Il report ha fotografato la situazione attuale. Sappiamo che c'è una sensibilità crescente, ma allo stesso tempo vediamo come questa non sia ancora sufficiente per tradursi in azioni concrete. Il 45% degli italiani dichiara di voler approfondire il tema in futuro, anche se dichiara che i canali informativi dovrebbero essere adeguati.La sfida principale quindi, anche del National Biodiversity Future Center, è quella di riuscire a colmare il divario tra percezione e conoscenza, rendendo così la perdita di biodiversità un tema più vicino alla quotidianità delle persone. Si possono sfruttare i social media per sensibilizzare i più giovani, si può migliorare l’informazione nei media tradizionali per coinvolgere un pubblico più ampio, si possono anche creare campagne locali per rendere più tangibile il problema della biodiversità nelle comunità di riferimento. Tutte azioni comunicative concrete per informare e rendere più consapevoli i propri cittadini.