La natura spesso sa sorprenderci o quantomeno riesce a sorprendere l’immaginario collettivo. Quando ci immaginiamo degli animali attraversare lunghe rotte migratorie, magari la nostra mente va a dei grandi uccelli, strutturati per viaggiare migliaia e migliaia di chilometri. Difficilmente pensiamo, come prima cosa, ad una farfalla. La Vanessa cardui, invece, è una gran viaggiatrice. Uno studio pubblicato recentemente su Nature Communications ha descritto un volo transoceanico di uno sciame di queste farfalle. Dall’Africa occidentale al Sud America, volando per almeno 4.200 chilometri sopra l’Atlantico, ma il loro viaggio potrebbe essere stato anche più lungo, partendo dall’Europa e attraversando tre continenti, con una migrazione di 7.000 chilometri o più.
Ma come fanno a volare così lontano? I ricercatori del National Biodiversity Future Center sono partiti da questa domanda per il loro studio. Innanzitutto bisogna partire dal fatto che ci sono farfalle che effettuano migrazioni più lunghe ed altre che viaggiano per meno chilometri. I ricercatori pensavano ci fossero delle differenze genetiche tra le due tipologie. Per questo hanno condotto uno studio su 40 diversi campioni raccolti sul campo. Con tecniche di genomica e analisi isotopica, hanno cercato di spiegare queste differenze di tratte e di percorrenza e sono emersi particolari interessanti. Gli esemplari sono stati raccolti sia a nord che a sud del Sahara e divisi in tre diversi gruppi: migranti a lungo raggio, cioè i lepidotteri che hanno volato oltre 4.000 km dall’Europa all’Africa tropicale, migranti a corto raggio che hanno percorso centinaia di chilometri fino alla regione mediterranea e gli individui locali, con un profilo isotopico compatibile con il luogo di cattura. Una differenziazione non banale, quantomeno in termini di chilometri. Alcune farfalle infatti partono dall’Africa nordoccidentale e sorvolano il Mar Mediterraneo fino all’Europa, per poi riprodursi e fare in modo che le generazioni successive vadano verso la Gran Bretagna, la tundra artica della Svezia. Altre invece restano nell’area del Mediterraneo.
Per capire se le motivazioni di queste differenze tra vita più migratoria e più stanziale sono genetiche lo studio ha utilizzato due tecniche principali: la geolocalizzazione isotopica, cioè l’analisi del rapporto di isotopi di idrogeno (δ2H) e stronzio (87Sr/86Sr) nelle ali delle farfalle per determinare la loro origine geografica e il riesequenziamento genomico, cioè il confronto del DNA degli individui per verificare se esistano differenze genetiche tra le popolazioni che percorrono rotte diverse.
Il risultato dell'analisi genomica è stato chiaro: non esiste alcuna differenziazione genetica tra migranti a lungo e a corto raggio. Insomma, le Vanessa cardui non hanno sottopopolazioni geneticamente distinte, nonostante le enormi differenze sulle distanze percorse. Le uniche piccole differenze si sono riscontrate su due individui che sono stati tra i primi ad arrivare in Africa occidentale. Questi hanno mostrato una leggera differenziazione genetica ma, secondo i ricercatori, il fenomeno non sarebbe ancora significativo dal punto di vista evolutivo.
Una scoperta che differisce da ciò che si osserva in alcuni uccelli. Secondo i ricercatori le differenti rotte migratorie sarebbero dovute ad una plasticità fenotipica. Sarebbe quindi una risposta agli stimoli ambientali, piuttosto che una caratteristica ereditaria fissa. Facendo un esempio concreto, potremmo dire che in estate le farfalle potrebbero percorrere distanze maggiori verso sud a causa del cambiamento della durata del giorno. In Svezia, infatti, le giornate si accorciano più velocemente. Se le farfalle, invece, sono nella Francia meridionale, non si incontrerebbero quei segnali migratori e verrebbero intrapresi solamente viaggi di breve chilometraggio, rimanendo nell’area mediterranea.
Gli autori hanno analizzato la forma e le dimensioni delle ali per valutare se queste caratteristiche influenzino la distanza migratoria e la risposta, anche in questo caso, è no: la dimensione e la forma delle ali non sono correlate alla distanza percorsa e l’usura delle ali non è un indicatore affidabile della lunghezza della migrazione.