Le zone umide sono dei veri e propri hub di biodiversità. Sono ambienti che svolgono una funzione fondamentale per garantire le risorse di acqua, cibo e di stoccaggio del carbonio, ma sono estremamente fragili e sensibili all’impatto dei cambiamenti climatici. C’è una convenzione, firmata a Ramsar, in Iran, nel 1971, che ha proprio l’obiettivo di proteggere le zone umide di importanza internazionale. Questi ecosistemi, che includono paludi, laghi, fiumi, mangrovie, torbiere e lagune, forniscono habitat per molte specie, regolando il ciclo dell’acqua e offrendo protezione naturale contro inondazioni e siccità. L’obiettivo di questa convenzione, firmata da 172 Paesi, è quello della salvaguardia delle zone umide, del loro uso sostenibile, garantendo che le attività umane in queste aree siano compatibili con la loro protezione a lungo termine.
Le Zone Ramsar
Le “Zone Ramsar”, cioè le zone protette, sono, ad oggi, oltre 2.500 in tutto il mondo e coprono una superficie totale di circa 255 milioni di ettari.
Anche l’Italia ha aderito alla Convenzione nel 1976 e oggi conta oltre 57 zone Ramsar, tra cui il Delta del Po, la Laguna di Venezia e il Lago di Lesina, esempi di ecosistemi ricchi di biodiversità.Queste sono distribuite in 15 Regioni, per un totale di 73.982 ettari. Inoltre sono stati emanati i decreti ministeriali per l’istituzione di ulteriori 9 aree e, al momento, è in corso la procedura per il riconoscimento internazionale: le zone Ramsar in Italia designate saranno dunque 66 e ricopriranno complessivamente un’area di ettari 77.856.
C’è uno studio dell’università di Palermo ed affiliato al National Biodiversity Future Center, che offre un’analisi dettagliata delle ricerche botaniche sulle piante vascolari condotte nelle zone umide italiane dal 1950 al 2022. Sappiamo infatti che le zone umide sono ecosistemi estremamente minacciati dall’azione umana e dai cambiamenti climatici, e che la loro salvaguardia è di fondamentale importanza.
Noi sappiamo che l’Italia è il Paese più ricco di zone umide tra quelli del bacino del Mediterraneo, è un territorio che ha una predominanza collinare (41,6%), una parte montuosa (35,2%) e solo per il 23,2% è pianeggiante. Conta inoltre 69 laghi naturali, 183 bacini artificiali e oltre 230 fiumi e corsi d'acqua di particolare rilevanza.
Lo studio analizza 1.265 contributi scientifici relativi alle piante vascolari presenti nelle zone umide italiane, esaminando i temi trattati, la distribuzione geografica delle ricerche e le tipologie di habitat studiati. L'obiettivo è di individuare le aree e gli aspetti meno esplorati per suggerire future linee di ricerca e migliorare le strategie di conservazione.
Il maggior numero di articoli scientifici si è focalizzato principalmente su laghi e stagni (389) e fiumi (352); torbiere, zone umide temporanee e habitat salini rappresentano invece rispettivamente 261, 133 e 132 diversi articoli. Gli articoli sulle acque degli estuari (40) e sulle risaie (14) sono invece storicamente i meno rappresentati. Come si vede dal grafico sottostante però, nonostante gli articoli sui fiumi, insieme a quelli sui laghi, siano i più frequenti nell'intero periodo, quelli sui fiumi sono stati superati da quelli sulle torbiere negli anni cinquanta, sessante e settanta. Dagli anni novanta a oggi, gli articoli sui fiumi diventano i principali, superando persino quelli sui laghi.
C’è infine l’analisi regionale dei risultati. Il numero maggiore di articoli riguarda la Toscana (185), seguita da Lombardia (141) e Sicilia (131). L’Emilia-Romagna (121), Lazio (112) e Veneto (109) superano anche loro i 100 articoli. Molise (15), Campania (20), Valle D’Aosta (23) e Basilicata (25) infine sono le regioni per cui è stato pubblicato il minor numero di articoli.
Infine quasi tutti i 57 siti Ramsar riconosciuti in Italia sono stati oggetto di articolo scientifico. Il paper quindi conclude che, sebbene le zone umide italiane siano state oggetto di numerosi studi, la distribuzione delle ricerche è frammentaria. In un momento in cui i cambiamenti climatici stanno ulteriormente peggiorando la situazione delle zone umide, alterandone le dinamiche e facendo scomparire quelli temporanei, “la conservazione ambientale passa attraverso la conoscenza” dicono gli autori. Alcuni habitat, come il fiume Tevere, sono stati oggetto di un numero maggiore di articoli, anche grazie alla loro vicinanza a centri di ricerca, ma intere aree dell’Italia meridionale sono ancora poco indagate. L’obiettivo dev’essere quello di colmare le lacune geografiche e tematiche, promuovendo la pubblicazione di dati locali per rafforzare le basi conoscitive e supportare strategie di conservazione efficaci e sostenibili. I risultati della ricerca infatti, evidenziano la necessità di intensificare la ricerca botanica nelle zone umide italiane, soprattutto nel Sud Italia e nelle aree protette, sebbene, dicono gli autori, la situazione stia già cambiando.
Lo scopo del National Biodiversity Future Center è proprio quello di implementare la ricerca scientifica nazionale sulla biodiversità. Il tema della biodiversità delle acque dolci è uno dei più sentiti. Nei primi tre anni di attività saranno finanziate ricerche volte allo studio della biodiversità a tutti i livelli negli ambienti di acqua dolce in Italia per migliorare gli attuali livelli di conoscenza.