L’essere umano ha plasmato per millenni gli ambienti che ha abitato, influenzandone la forma, la funzione e l’ecosistema. “Nelle regioni montane europee, secoli di interazione tra dinamiche naturali e antropiche hanno plasmato ecosistemi agro-silvo-pastorali semi-naturali” scrivono i ricercatori di una pubblicazione recente su Landscape and Urban Planning. Ambienti – in particolare molte aree montane – che negli ultimi decenni sono stati gradualmente abbandonati da attività agricole e pastorali.
Il team di ricerca ha proprio esplorato le conseguenze di questo abbandono sugli ecosistemi montani, delle Alpi occidentali e sull’evoluzione delle foreste. Quello che emerge è che l’eredità dell’uso del suolo – cioè ciò che c’era prima dell’abbandono – lascia un’impronta profonda sulle foreste che si rigenerano successivamente e in maniera naturale. Le foreste nate da ex pascoli, per esempio, ospitano specie diverse e mostrano dinamiche ecologiche differenti rispetto a quelle nate in aree che erano già boscate. Queste informazioni diventano di fondamentale importanza per pianificare interventi di restauro ambientale mirati e più efficaci.
La biodiversità si costruisce nel tempo
Studiare come si sviluppano le foreste dopo l’abbandono dei pascoli è un modo per comprendere come funziona la biodiversità, quali processi naturali sono ancora attivi e quali, invece, rischiano di scomparire. In un’epoca segnata da crisi ambientali multiple – cambiamenti climatici, perdita di habitat, consumo del suolo – sapere dove e come intervenire è prezioso. “Le pratiche di gestione tradizionali, tra cui la selvicoltura e il pascolo, hanno favorito lo sviluppo di questo complesso mosaico di paesaggi culturali, dominato da un’alternanza di foreste, pascoli boschivi, praterie e terreni coltivati. Queste aree fungono da hotspot di biodiversità perché la loro composizione e configurazione eterogenee creano una moltitudine di nicchie ecologiche. Forniscono cibo, riparo e habitat a diverse specie e costituiscono una testimonianza duratura della coesistenza storica tra uomo e natura. I cambiamenti nelle caratteristiche del loro paesaggio possono quindi innescare un effetto a cascata sugli ecosistemi e sui mezzi di sussistenza umani” spiega il team di ricerca.
Le foreste non sono tutte uguali: alcune crescono in modo spontaneo, altre hanno bisogno di un piccolo aiuto antropico. I processi naturali di riforestazione sui terreni post-abbandono vedono dinamiche complesse guidate dagli effetti sinergici di molteplici fattori. Per esempio, lo strato erbaceo, il tipo e il livello di fertilizzazione e la pressione del pascolo possono ritardare la crescita di arbusti e alberi.
Capire che tipo di vegetazione o di attività c’era prima dell’abbandono aiuta a prendere decisioni più adatte. Il processo di trasformazione e colonizzazione delle aree post abbandono è influenzato, per esempio, dal tempo trascorso dall’abbandono del terreno, dalle proprietà del suolo e dal tipo e dalla vicinanza di aree forestali e arbustive. Infatti, le eredità biologiche guidano lo sviluppo successivo: ”L’accumulo di pietre derivante dalla pulizia dei prati (ad esempio, per prevenire danni da falciatura), la presenza di manufatti (ad esempio, muri a secco e terrazzamenti) e il precedente calpestamento del bestiame creano micro-habitat favorevoli all’insediamento delle piantine” raccontano i ricercatori.
Cosa succede alle foreste dopo l’abbandono dell’attività umana
Lo studio ha analizzato l’evoluzione del paesaggio nella valle del Pesio, in Piemonte, tra il 1954 e il 2017. Nell’intervallo considerato, 470 ettari di area hanno vissuto dei cambiamenti, dove “l’espansione forestale è stata la dinamica più importante, rappresentando l’82% della superficie totale modificata, mentre l’urbanizzazione e la riduzione delle foreste hanno rappresentato rispettivamente il 7% e il 4%” raccontano gli autori. Grazie a immagini aeree storiche e rilievi sul campo, i ricercatori hanno identificato 87 ettari di foreste post-abbandono, precedentemente usate come pascoli, boschi radi e pascoli.
Grazie alle analisi sul campo, sono stati identificate 75 specie appartenenti al sottobosco. Assieme al confronto fra la struttura e la composizione di questi nuovi boschi, un’analisi successiva ha permesso di individuare alcune differenze in base all’eredità lasciata dall’uso precedente. Le foreste nate su ex pascoli sono dominate da specie pioniere come Betula pendula e Acer pseudoplatanus, con un sottobosco ancora ricco di erbe da prato e in cui arriva una discreta quantità di luce. Al contrario, quelle nate su aree già boscate sono più mature, ricche di faggi (Fagus sylvatica) e ospitano specie tipiche di ambienti ombreggiati e ricchi di humus.
Gli organismi vegetali del sottobosco sono anche stati suddivisi in base al loro comportamento ecologico e all’ambiente in cui di solito si trovano, ossia i Social Behaviour Types (tipi di comportamento sociale, SBT). Questa è una classificazione delle piante in base al loro “comportamento sociale”, cioè al tipo di ambiente in cui vivono e alle strategie con cui convivono con altre piante. Sono stati così identificato 5 SBT:
- RUDERAL: piante che crescono in ambienti fortemente modificati dall’uomo, come bordi delle strade, terreni incolti o aree urbanizzate. Sono specie resistenti, che si adattano bene dove il suolo è stato sottoposto a stress.
- GRASS: piante tipiche dei prati e pascoli, spesso erbacee, che si sviluppano in ambienti aperti, luminosi, e sono comuni nelle aree coltivate o usate per l’allevamento.
- MEGAFORB: piante erbacee di grandi dimensioni (spesso con foglie ampie o fusti robusti), che si trovano in ambienti umidi o semi-ombreggiati, come i margini dei boschi o nelle radure montane.
- WOOD: piante tipiche dei boschi maturi, che preferiscono ambienti ombrosi, ricchi di humus, e sono spesso più lente a colonizzare nuove aree. Sono specie che si trovano nelle foreste ben sviluppate e stabili.
- SHRUB: arbusti legnosi, cioè piante più alte delle erbacee ma più basse degli alberi, spesso pionieri nei processi di ricolonizzazione dei prati abbandonati. Indicano una fase di transizione verso l’ambiente boschivo.
Questi risultati mostrano come le tracce del passato – per esempio la presenza di alberi isolati o la fertilità del suolo lasciata dalla pastorizia – influenzano la direzione che prenderà il nuovo ecosistema. Le foreste ex-pascolo, più giovani e accessibili, potrebbero essere buone candidate per interventi attivi, come il ripristino dei prati. Quelle nate da boschi radi, invece, si avvicinano già a condizioni più naturali e potrebbero essere lasciate evolvere senza troppi interventi. “Queste eredità legate all’uso del suolo svolgono un ruolo fondamentale nel plasmare la configurazione, la composizione e la fornitura di servizi ecosistemici nei paesaggi forestali post-abbandono, influenzando e limitando così le traiettorie dei futuri processi ecologici” concludono gli autori.