La rivincita del fico d’india: un alleato contro la desertificazione

Jul 2025 – Benedetta Pagni

Uno studio dell’Università di Palermo rivela come i cactus messicani abbandonati stiano facilitando la rinascita di querce e piante autoctone nelle aree più aride della Sicilia. Questo caso specifico potrebbe ispirare nuove strategie di rigenerazione ambientale.

La Sicilia, negli ultimi anni, si è trovata a dover affrontare una condizione di siccità e desertificazione che sta diventando sempre più grave di anno in anno. Non è difficile immaginare un paesaggio caratterizzato da un terreno screpolato dal sole che lascia spazio a distese di fichi d’India, piante grasse dalla forma iconica, magari eredità di antiche coltivazioni. Ebbene, proprio questi cactus – nome scientifico Opuntia ficus-indica, originari del Messico – stanno diventando protagonisti di una trasformazione inaspettata.

Carta della sensibilità alla desertificazione in Sicilia a scala 1:250.000

Un team di ricercatori dell’Università di Palermo ha scoperto che sotto le loro foglie carnose (o cladodi) si nasconde un vivaio naturale: querce, ulivi selvatici, lentischi e altre piante tipiche della macchia mediterranea stanno ricrescendo, contrastando l’avanzata di un terreno arido. Lo studio, pubblicato su Frontiers in Forests and Global Change, ha confrontato per tre anni la rigenerazione vegetale in tre siti siciliani a rischio desertificazione. “È come se il fico d’India facesse da ‘balia’ alle piante autoctone”, spiegano gli autori della ricerca.

Un effetto domino

Il Mediterraneo è uno degli 8 grandi hotspot di biodiversità nel mondo ed è anche tra le regioni che più risente delle conseguenze del riscaldamento globale, con un alto livello di degradazione dei vari habitat. Solo in Sicilia, il 70% del territorio è a rischio desertificazione. Rigenerare le foreste non è solo una questione ecologica: alberi e arbusti prevengono l’erosione del suolo, assorbono anidride carbonica e aiutano nella prevenzioni degli incendi, mantenendo un suolo più ombreggiato e riducendo così l’evaporazione dell’acqua. Ma piantare nuovi alberi è costoso e spesso fallisce a causa di diversi fattori, siccità compresa. Ed è qui che si inserisce la ricerca sul fico d’India: dimostra che alcune specie, anche non autoctone, possono accelerare processi naturali, riducendo i costi e aumentando le probabilità di successo.

C’è ancora diffidenza nei confronti di specie aliene e si rischia di generalizzarne il ruolo e le caratteristiche; tuttavia, nella comunità scientifica sta crescendo la necessità di una valutazione più approfondita e critica di queste caratteristiche, dal livello di invasività che possono avere  ai relativi impatti dannosi o di supporto ai nuovi ecosistemi in cui si inseriscono. Per esempio, “i fichi d’India abbandonati diventano rifugi per merli, ghiandaie e storni, che depositano semi con le loro feci”, spiegano gli autori. Questi volatili, spesso minacciati dall’agricoltura intensiva, sono ingegneri della biodiversità: dispersori di semi, impollinatori e indicatori della salute degli ecosistemi. Proteggerli significa preservare intere catene alimentari. Senza di loro, le querce non potrebbero colonizzare nuove aree: i loro semi (ghiande) sono troppo pesanti per il vento e dipendono da animali come la ghiandaia, che li nasconde nel terreno.

Dati alla mano: come il fico d’India batte ulivi e terre abbandonate

“Abbiamo scoperto che il fico d’India ha notevolmente facilitato il reclutamento e favorito la crescita di un’ampia varietà di specie legnose mediterranee, tra cui specie arboree a successione tardiva, rispetto agli ulivi abbandonati e alle aree aperte” hanno spiegato gli autori. Per farlo hanno selezionato 3 aree dell’entroterra siciliano – Roccapalumba, Santo Pietro e Caltagirone –  e le hanno monitorate per 3 anni. Successivamente sono state valutate le differenze di densità, ricchezza, diversità, altezza e diametro basale delle specie legnose in questi tre habitat.

I fichi d’India si sono rivelati degli habitat ideali e fecondi: il 94,6% delle aree sotto i fichi d’India ospita almeno una pianta giovane, contro il 61,6% sotto gli ulivi e il 22,3% nelle zone aperte. Anche la densità di rigenerazione naturale sotto i fichi d’India è risultata significativamente più elevata rispetto a quella sotto gli ulivi e alle aree aperte.

Anche la diversità delle reclute, il diametro basale e l’altezza erano significativamente maggiori sotto i fichi d’India, concentrando il 94,4% degli individui di altezza superiore a 100 cm e tutte le specie di successione tardiva. Non solo: le querce – simbolo delle foreste mediterranee – hanno trovato un ottimo habitat sotto i fichi d’India. “Non solo abbiamo riscontrato un’elevata densità di piantine di quercia sotto i fichi d’India – dicono ancora gli autori- ma questi hanno anche ospitato tutti gli individui di quercia radicati che hanno raggiunto un’altezza fino a 7 metri, a indicare un buon equilibrio tra contenuto di sostanza organica nel suolo, disponibilità idrica, spazio e competizione luminosa”.

Il fico d’India rimane una specie aliena, con i suoi pro e contro: in alcune zone del Mediterraneo, per esempio, è invasivo e minaccia piante rare. Ma in Sicilia, dove è coltivato da secoli, il suo controllo è semplice: basta potare i frutti prima che maturino, una pratica agricola comune utilizzata da molto tempo sull’isola. “Usarlo come tramite per la riforestazione è sostenibile”, chiariscono gli autori. “Una volta che le querce o altri alberi diventano adulti, ombreggiano il terreno e il cactus scompare naturalmente”.

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