Nel 2023, come abbiamo visto nell’articolo “Specie aliene, un database per mari Mediterraneo e Nero”,un team di ricerca internazionale si era occupato di fare il punto della situazione sulle specie aliene che hanno popolato i mari Mediterraneo e Nero, appunto. A febbraio 2025, invece, un altro gruppo di lavoro ha pubblicato quello che è stato definito dagli stessi autori un “articolo collettivo” sulla rivista Mediterranean Marine Science, fornendo un aggiornamento sulle ultime segnalazioni di nuove specie non indigene che stanno popolando il Mediterraneo.
Questo bacino salato è uno degli 8 macro-centri di biodiversità a livello globale, ospitando una ricchezza immensa in termini di organismi marini, sia animali che vegetali. Purtroppo, come molti altri ambienti, si trova ad affrontare una sfida ecologica crescente, rappresentata dall’invasione di specie non indigene. Questo fenomeno, favorito dai cambiamenti climatici e dalle pressioni antropogeniche come il traffico marittimo, può alterare gli ecosistemi. Come scrivono gli autori, “La regione marina è identificata come quella più invasa al mondo – scrivono i ricercatori – ospita oltre 1.000 specie non indigene (SNI) multicellulari, con un aumento del 40% solo nell’ultimo decennio. Questa tendenza sottolinea l’urgente necessità di metodi di sorveglianza solidi ed economici, strumenti di individuazione precoce e strategie di gestione adattiva”.
Un lavoro di squadra
Questo “articolo collettivo” è un formato particolare di pubblicazione proposto dalla rivista dal 2011, pensato per consolidare osservazioni che altrimenti rischierebbero di andare perse. Questa pubblicazione scientifica ha così visto la collaborazione di sette paesi mediterranei: Croazia, Cipro, Italia, Malta, Slovenia, Siria e Turchia. Nonostante l’aumento di specie non indigine, rimangono sfide pratiche, come “il monitoraggio costante, la disponibilità di dati specifici per specie e un’efficace collaborazione transnazionale” scrivono i ricercatori. Infatti, spiegano, pubblicare le prime registrazioni o avvistamenti delle SNI come brevi note su riviste peer-reviewed può essere difficile e molte registrazioni iniziali nazionali o regionali all’interno del Mediterraneo rimangono spesso inedite Ciò ostacola la documentazione, a meno che non si faccia parte di ampi sforzi collaborativi che consolidino molteplici osservazioni.
Il Mediterraneo è un ecosistema complesso e delicato, dove ogni specie, dal più piccolo organismo planctonico ai grandi predatori, gioca un ruolo fondamentale e interconnesso nell’equilibrio complessivo. La biodiversità è la garanzia della resilienza e della salute dei nostri sistemi marini. Un ecosistema ricco di specie diverse è più capace di adattarsi ai cambiamenti ambientali e di resistere a stress come l’inquinamento o alll’arrivo di nuovi “vicini”. Una ricchezza biologica che fornisce servizi ecosistemici essenziali, come la produzione di ossigeno, la depurazione delle acque, il sostentamento delle popolazioni ittiche su cui si basa la pesca.
Un equilibrio vitale ma anche fragile. Le SNI, in particolare quelle provenienti da ambienti tropicali caldi, come molte che arrivano dal mar Rosso attraverso il canale di Suez, trovano nel Mediterraneo – le cui acque si stanno progressivamente scaldando – condizioni favorevoli per stabilirsi. Queste nuove specie possono avere degli impatti significativi: competono aggressivamente con le specie native per cibo e spazio, possono alterare le delicate reti alimentari predate dalle specie locali, introdurre malattie o parassit,i per i quali le specie native non hanno difese, e persino modificare la struttura fisica degli habitat, rendendoli meno adatti per la fauna e la flora indigene.
Per esempio, Polydora cornuta è considerata una specie altamente invasiva per la sua capacità di rapida colonizzazione e dimostra una notevole tolleranza e prosperità in ambienti disturbati e inquinati come i porti. La perdita di biodiversità, accelerata da queste invasioni biologiche che si sommano ad altre pressioni come l’inquinamento e la distruzione degli habitat, non è solo un danno ecologico, ma ha anche ripercussioni economiche e sociali, mettendo a rischio settori vitali come la pesca e il turismo costiero.
Le nuove specie identificate
Sono 19 in tutto le SNI identificate dal gruppo di lavoro e appartengono a otto diversi phyla, inclusi anellidi, artropodi, molluschi, cordati (pesci), cnidari e alghe. Tra i risultati più interessanti, spicca il primo avvistamento in assoluto per l’intero bacino mediterraneo di un calamaro, Uroteuthis (Photololigo) arabica: “Ciò indica il Canale di Suez come una via di dispersione chiave per le specie di calamari” spiegano gli autori.
A questo si aggiungono altre prime segnalazioni per i singoli paesi, come l’ulteriore espansione verso ovest della conchiglia Conomurex persicus, segnalata per la prima volta nello stretto di Messina, e le prime documentazioni per pesci come Pteragogus trispilus in Italia e Triacanthus biaculeatus in Turchia. Questi ritrovamenti sono spesso frutto della combinazione di ricerche scientifiche dedicate e del contributo della citizen science. Quest’ultima ha giocato un ruolo importante, con segnalazioni da subacquei, pescatori e collezionisti di conchiglie. Questa varietà di metodi di osservazione e il coinvolgimento di diversi attori sottolineano l’importanza di un approccio collaborativo e multidisciplinare per un monitoraggio efficace.
L’articolo collettivo offre una vasta panoramica, con tanto di foto, dei vari ritrovamenti e un capitolo dedicato per ogni phyla identificato. Approfondendone i contenuti, le diciannove segnalazioni si distribuiscono in varie categorie biologiche e geografiche, offrendo un quadro aggiornato della xenodiversità, cioè la diversità di specie aliene, nel Mediterraneo.