I fondali marini sono ecosistemi ancora poco conosciuti, ricchi di architetture complesse. Un po’ come le città e i paesi in cui viviamo quotidianamente, con strutture architettoniche costruite dagli stessi abitanti marini. Questi architetti, che da secoli costruiscono città sommerse e grattacieli di calcare popolati da migliaia di specie, sono i biocostruttori: organismi come alghe coralline, spugne e molluschi che, sovrapponendo e intrecciando i loro scheletri calcarei creano labirinti tridimensionali nelle profondità del Mediterraneo.
Un team di ricerca italiano ha effettuato quasi duemila campionamenti scandagliando le coste pugliesi ed è riuscito a censire gli organismi che in queste vivono da molto tempo. Sono state così identificate 648 classi tassonomiche, di cui 194 varietà di spugne (phylum Porifera), 150 vermi marini (phylum Annelida) e 110 molluschi (phylum Mollusca). In gergo più tecnico, come si legge su Data (MDPI), i ricercatori e le ricercatrici hanno costruito “il primo dataset delle specie bentoniche che abitano le biocostruzioni mesofotiche adriatiche”, ossia hanno censito gli organismi che vivono sui fondali marini all’interno di strutture organiche a una profondità che va dai circa 30 ai circa 150 metri di profondità. Un tesoro di biodiversità in zone troppo profonde per gli snorkeler, ma cruciali per la salute del mare.
La profondità del mare
“Tra le biocostruzioni mediterranee, quelle che prosperano sui fondali mesofotici delle coste italiane sudorientali sono di particolare interesse per la loro estensione orizzontale e verticale”, scrivono gli autori. Mentre le barriere coralline sono diventate più note negli anni – un’attenzione mediatica spesso scatenata da un loro stato di degrado – queste biocostruzioni sono hotspot ecologici ancora poco conosciuti. Eppure, svolgono funzioni vitali per il funzionamento del Meditteraneo. Agiscono come accumulatori di carbonio, proteggono le coste dall’erosione e svolgono un ruolo di rifugi climatici: in un mare sempre più caldo, queste oasi profonde potrebbero offrire uno spazio sicuro a specie minacciate dalle acque superficiali.
Tuttavia, sono habitat fragili e le attività umane come la pesca a strascico e l’inquinamento li stanno minacciando. “Studi recenti hanno dimostrato che le pressioni antropiche e ambientali hanno un impatto critico sulla distribuzione di vari tipi di biocostruzioni, portando alla loro degradazione, frammentazione e perdita sia nelle acque basse che in quelle profonde”, spiegano i ricercatori. E senza dati precisi diventa difficile proteggere ciò che non conosciamo. Infatti, “l’accesso a questi dati è fondamentale per valutare i cambiamenti spazio-temporali nei modelli di biodiversità e potrebbe essere utilizzato dalla comunità scientifica in ulteriori studi, nonché dalle parti interessate e dai responsabili politici per stabilire le priorità di conservazione e migliorare i programmi di monitoraggio” continuano.
La varietà delle biocostruzioni
Lungo sei siti chiave – Tremiti, Monopoli, Capitolo, San Foca, Otranto e Santa Maria di Leuca – per oltre 400 km di costa pugliese, i subacquei hanno raccolto 1.718 campioni tra il 2017 e il 2023.
Da questi campionamenti sono emerse due tipologie di architetture: le biocostruzioni ad alghe (MAB) e le biocostruzioni animali (MIB). Tra i 25 e i 35 metri di profondità, le MAB ospitano 450 specie uniche e diverse, con spugne (131 varietà), vermi marini (101) protagonisti e 83 specie di molluschi. Scendendo tra i 45 e i 65 metri verso le MIB, il fondale cambia: si ritrovano le spugne, che salgono a 140 specie, affiancate nuovamente da 117 tipi di vermi, molluschi e artropodi diminuiscono e aumentano i 56 briozoi – piccoli organismi simili a coralli.
Come emerge dal dataset pubblicato dal team di ricerca, sono stati fatti 1.718 campionamenti, andando così a recuperare nei vari habitat un totale di specie diverse.
Uno degli elementi eccezionali del lavoro di campionamento è stato il fatto che i ricercatori sono riusciti a identificare con precisione il 90% delle specie (580 su 648), creando un archivio scientifico senza precedenti. “Informazioni dettagliate sulla presenza delle specie possono anche migliorare la nostra capacità di valutare i cambiamenti ecologici nel tempo e consentire agli scienziati di sviluppare strategie appropriate per la conservazione e la gestione di questi importanti ecosistemi” concludono gli autori.