Un pianeta privo di biodiversità animale, ambientale, ecosistemica, floristica, genetica e così via è un mondo in cui la specie umana potrebbe non sopravvivere a lungo. Lo stato della natura in Europa è in declino, con oltre l’80% degli habitat in cattive condizioni. Non bastano più le aree protette o le azioni di tutela passiva. È tempo di passare al “restauro” attivo della biodiversità, o nature restoration. A giugno 2024 è stata approvata la Nature Restoration Regulation dell’Unione Europea – a cui anche l’Italia ha aderito – “che fissa obiettivi vincolanti per ripristinare gli ecosistemi degradati, in particolare quelli con il maggior potenziale di cattura e stoccaggio del carbonio, nonché per prevenire e ridurre l’impatto delle catastrofi naturali”.
Su questa linea si inserisce il nuovo report del National Biodiversity Future Center (NBFC), il più grande centro italiano dedicato allo studio e alla protezione della biodiversità. Il documento, intitolato Il restauro della biodiversità: esperienze e innovazioni della ricerca, presenta un quadro aggiornato delle strategie, delle tecnologie e delle azioni concrete per rigenerare gli ecosistemi degradati in Italia. L’approccio, poggiato su una base scientifica e con il contributo di oltre 2.000 ricercatrici e ricercatori, è ambizioso: dal ripristino delle foreste alle torbiere, dalle aree urbane agli ambienti marini. Il restauro ecologico non è solo un’opzione, ma un obbligo e una necessità.
Per stare bene, bisogna che tutto funzioni
Uno dei concetti chiave alla base delle varie strategie europee è quello di One Health, cioè di un’unica forma di salute interconnessa: la salute dell’uomo, degli organismi viventi, e non, che ci circondano e degli ecosistemi nella loro complessità. Quando la biodiversità crolla, aumentano i rischi per la nostra salute: dalla diffusione di malattie zoonotiche alla riduzione della disponibilità di cibo e acqua pulita. Foreste, fiumi, aree marine, suolo, impollinatori, aria pulita: tutto è connesso. Quando un ecosistema si ammala, spesso per cause antropiche – inquinamento, urbanizzazione selvaggia, deforestazione o crisi climatica – anche noi ne paghiamo le conseguenze, sia economiche che di benessere.
Perché il restauro ecologico è un’urgenza
“La consapevolezza della necessità di riqualificazione degli ecosistemi è un tema di valenza internazionale. Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite (ONU) per il 2030 includono la conservazione e l’arresto della perdita di biodiversità degli ecosistemi marini e costieri (Obiettivo 14) e di quelli terrestri (Obiettivo 15)”, si legge nel report.
Come spiegano gli autori, “mediante azioni di restauro, di recupero e di riqualificazione, si intende mitigare la frammentazione degli habitat, migliorare la resilienza degli ecosistemi, attivare la fornitura di servizi ecosistemici e promuovere l’adattamento agli effetti del cambiamento climatico”.
Oltre alla nature restoration – l’espressione usata in ambito politico e normativo europeo per riferirsi agli obiettivi e alle azioni di restauro stabilite dalla Nature Restoration Regulation – c’è anche la ecological restoration. Anche noto come restauro ecologico, è l’insieme di interventi mirati a riportare un ecosistema degradato verso uno stato più sano e funzionale, capace di ospitare biodiversità e fornire servizi essenziali (come la regolazione del clima, la fertilità del suolo o la qualità dell’acqua). Il restauro richiede studi approfonditi, strategie su misura e, spesso, tecnologie avanzate, diventando così un approccio tecnico-scientifico operativo, guidato da principi e standard internazionali.
NBFC racconta diverse storie di strategie progettate e realizzate per il restauro di ambienti terrestri, marini e urbani. Uno fra gli interventi più significativi nell’ecosistema terrestre ha coinvolto tre località presso l’Altopiano di Asiago che hanno subito differenti livelli di magnitudo ed intensità della tempesta VAIA. Qui sono state messe in atto “attività di restauro del bosco in siti a vegetazione potenziale caratterizzata da bosco misto autoctono”, reinserendo alberi e arbusti tipici del luogo. Nell’Area Marina Protetta del Parco Nazionale delle Cinque Terre, è stata reintrodotta un’alga bruna – Ericaria amentacea – per promuove la connettività dei popolamenti presenti lungo la costa ligure, ripristinare l’area e contribuire, così, al raggiungimento del buono stato ecologico nei siti Natura 2000. È invece, grazie alla combinazione di spezie e di diverse tipologie di impianto, che sono stati sviluppati degli impianti boschivi sperimentali in 4 città italiane metropolitane (Milano, Roma, Firenze-Pistoia, e Campobasso).
Restauro delle foreste minacciate da incendi sempre più frequenti, specie arboree resilienti e adattate ai nuovi scenari climatici, mappatura delle aree più degradate per pianificare azioni mirate, tutela degli impollinatori fondamentali per l’agricoltura e per la sopravvivenza di numerose piante spontanee: sono, tra le altre ancora, alcune delle soluzioni sviluppate finora. e Molte altre dovranno arrivare. In questo contesto, la biodiversità non è una ricchezza estetica o culturale, ma una garanzia di resilienza contro le crisi future.