Addio Posidonia? I dati che raccontano la crisi dei prati sottomarini nel Mediterraneo

Clima che cambia, specie invasive che avanzano, ecosistemi marini che si trasformano. Ecco come le praterie di Posidonia oceanica rischiano di scomparire dal cuore blu del Mediterraneo secondo uno studio internazionale supportato da modelli predittivi avanzati
Jul 2025

Il futuro del Mediterraneo potrebbe essere meno verde – o meglio, meno verde-blu. Secondo un nuovo studio pubblicato su Science of the Total Environment, i cambiamenti climatici e la diffusione di specie aliene invasive stanno alterando irreversibilmente l’equilibrio degli ecosistemi sottomarini. A rischio c’è la Posidonia oceanica, pianta marina endemica, colonna portante della biodiversità del Mediterraneo. Il colpevole? Un mix micidiale di mari sempre più caldi e salati, e dell’avanzata inarrestabile della specie tropicale Halophila stipulacea.

Il modello che simula 80 anni di futuro

Gli scienziati hanno utilizzato un modello ecologico chiamato cellular automata (CA) per simulare l’evoluzione delle praterie sottomarine da oggi al 2100, in quattro diverse regioni del Mediterraneo – da Cipro alle Baleari. Il CA funziona come una mappa fatta di celle esagonali, ciascuna delle quali può essere occupata da una specie (o restare vuota), evolvendo secondo regole precise di crescita, competizione e tolleranza a temperatura e salinità. Le simulazioni sono state condotte su due scenari climatici: ottimistico (RCP 2.6) e pessimistico (RCP 8.5).

I risultati: la Posidonia crolla, l’invasiva conquista

I numeri parlano chiaro. Sotto lo scenario peggiore (RCP 8.5), nella regione più calda del Mediterraneo orientale, le praterie di Posidonia oceanica collassano quasi del tutto entro il 2060. Anche Cymodocea nodosa, altra specie nativa ma più adattabile, subisce gravi perdite. Al loro posto si espande velocemente Halophila stipulacea, originaria del Mar Rosso, che aumenta notevolmente la sua copertura entro fine secolo.

Nello scenario ottimistico (RCP 2.6), la Posidonia regge solo nelle regioni occidentali più fresche (come le Baleari), che diventano potenziali “rifugi climatici”. Ma anche qui, se l’invasiva arriva – trasportata da frammenti o ancore – può ridurre la presenza di Cymodocea nodosa in meno di 40 anni.

Un effetto domino per la biodiversità

La perdita della Posidonia oceanica non è solo una questione estetica. Le sue praterie agiscono come “ingegneri ecosistemici”: proteggono le coste dall’erosione, ospitano pesci e invertebrati, assorbono CO₂. Sostituirla con specie più piccole e a crescita rapida significa ridurre complessità, resilienza e servizi ecosistemici. Come scrivono gli autori: “La sostituzione della Posidonia con Halophila stipulacea comporta una semplificazione strutturale e funzionale dell’ambiente sottomarino”.

Ancore, maltempo e turisti

Il modello ha incluso anche fattori di disturbo antropico come le ancore delle barche o i temporali invernali. Risultato? Le zone disturbate sono le prime a essere più fragili e facilmente conquistabili dalle specie invasive. In particolare, la Posidonia – per sua natura lenta a ricrescere – non riesce a recuperare il danno. Gli autori parlano di “effetto boomerang”: più danneggiamo gli habitat attuali, più favoriamo le specie aliene.

La speranza (e i margini di azione)

C’è una via d’uscita? Forse. Secondo lo studio, esistono genotipi di Posidonia più resistenti al caldo che potrebbero essere selezionati e impiegati in progetti di restauro. Inoltre, i modelli mostrano che nelle aree meno stressate la coesistenza tra specie native e invasive è possibile – almeno temporaneamente. Secondo gli autori sono tre le priorità da seguire: monitaraggio precoce delle specie invasive; riduzione delle pressioni locali di origine antropica; conservazione attiva delle praterie di Posidonia più integre.

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