Si può riutilizzare l’acqua di coltura delle alghe senza che loro perdano efficacia

Jun 2025 – Antonio Massariolo

In un modo in cui il clima è già cambiato e la scienza sta cercando di trovare soluzioni mentre la politica ne impiega di per nulla lungimiranti, avere a disposizione uno strumento che possa permettere di catturare CO₂ dall’ambiente sarebbe una rivoluzione utile a tutti. Mentre l’uomo vuole crearne di nuovi, dai metodi di stoccaggio ai centri di cattura, la natura offre soluzioni a costo zero. È su queste soluzioni che uno studio dell’università Federico II di Napoli si è concentrato. Stiamo parlando delle microalghe che sono in grado di trasformare luce solare, CO₂ e acqua in composti ad alto valore nutrizionale o energetico. Detta così, sembrerebbe d’aver trovato la soluzione al cambiamento climatico, ma purtroppo la realtà è più complessa. Sebbene l’utilizzo delle microalghe sia molto promettente, la sostenibilità del processo è messa in discussione proprio dalla loro produzione e dalla successiva raccolta della biomassa. In particolar modo l’aspetto più complesso è la questione dell’impronta idrica che avrebbe una coltivazione di massa delle microalghe. Proprio per affrontare questo nodo cruciale, un gruppo di ricercatori ha avviato uno studio per verificare se e quanto sia possibile riutilizzare il mezzo di coltura esausto, cioè l’acqua “usata” nei cicli precedenti di crescita, senza però compromettere le performance produttive. I risultati preliminari dicono che, almeno per alcune specie, questa strada è non solo percorribile, ma è anche promettente.

Le microalghe Chlorophyta

Lo studio in questione si concentra soprattutto sulla strategia di riutilizzo dell’acqua per due microalghe Chlorophyta in condizioni di coltura batch. Le Chlorophyta sono quelle che comunemente noi chiamiamo alghe verdi. In particolare i ricercatori si sono concentrati sulla strategia di riutilizzo dell’acqua applicata alla coltura batch di due microalghe Chlorophyta: la ben nota C. vulgaris e la meno conosciuta Pseudococcomyxa simplex. Le performance di crescita sono state testate in tre colture. Sono stati monitorati i parametri di crescita e il contenuto di clorofilla, e valutata la quantità ottimale di mezzo riutilizzato. 

I risultati

I risultati mostrano che è possibile riutilizzare fino al 70% del mezzo senza perdita di velocità di crescita specifica né della frazione di clorofilla. Questo però solo per una delle due alghe studiate. I risultati, infatti, hanno messo in luce un comportamento molto diverso tra i due ceppi. La Chlorella vulgaris ha mostrato segni di sofferenza già al primo ciclo di riutilizzo, con un netto calo nella velocità di crescita e nella produzione di clorofilla. Anche con un 30% di mezzo fresco reintegrato, le sue performance non si sono mai avvicinate a quelle ottenute in mezzo completamente nuovo.

Al contrario, la Pseudococcomyxa simplex ha dimostrato che, anche dopo tre cicli di coltura in mezzo in gran parte esausto (fino al 70% riutilizzato), la sua crescita è rimasta stabile, così come i livelli di clorofilla. Secondo gli autori, questa differenza potrebbe dipendere da vari fattori fisiologici, tra cui la presenza nella P. simplex di una barriera protettiva chiamata algaenan, che la rende più resistente all’accumulo di metaboliti o metalli non assorbiti. Inoltre, sembrerebbe avere un fabbisogno inferiore di magnesio per la sintesi della clorofilla, un elemento chiave che tende ad esaurirsi nel mezzo riutilizzato. 

L’importanza dello studio

Tornando alla premessa con cui abbiamo aperto questo articolo, in un mondo in cui bisogna trovare delle soluzioni globali per abbattere la CO₂ in atmosfera, bisogna studiare e ricercare anche le più piccole soluzioni. Lo studio di Marra e soci offre delle prove concrete a sostegno del riutilizzo del mezzo di coltura. Questo potrebbe avere un impatto notevole sulla sostenibilità delle coltivazioni di microalghe e, se si applicasse su larga scala, questa pratica potrebbe aiutare a ridurre l’impronta idrica dei processi industriali, a diminuire i costi di approvvigionamento e smaltimento dell’acqua, a ottimizzare l’uso di nutrienti e metalli e a rendere più accessibili le applicazioni delle microalghe nei settori alimentare e farmaceutico.

Sono dei risultati preliminari, quindi la strada è ancora lunga, ma sono dati interessanti e soprattutto incoraggianti che indicano una strada verso il raggiungimento della fattibilità tecnico-economica nella produzione di microalghe.

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