I ragni e quella immotivata paura nei loro confronti

May 2025 – Antonio Massariolo

La paura dei ragni è una condizione diffusa, spesso sproporzionata rispetto al reale pericolo che i ragni rappresentano per l’uomo.
Probabilmente radicata nella storia evolutiva, questa paura potrebbe avere anche una componente culturale. Se l’era chiesto Stefano Mammola, ricercatore del National Biodiversity Future Center già qualche anno fa. In una prima ricerca, pubblicata nel marzo del 2022 su Nature Scientific Data, era stato creato un database globale sulla copertura giornalistica degli incontri uomo-ragno in tutto il mondo dal 2010 al 2020, prendendo in esame ben 5.348 articoli pubblicati in 40 lingue e 81 paesi. Di ciascuna notizia è stata considerata la provenienza, la specie citata, la presenza di fotografie di ragni o di morsi; sono inoltre state sottoposte ad analisi l’eventuale presenza di errori e il fatto se siano stati consultati o meno degli esperti.

Il risultato, come scritto al tempo da Il Bo Live, è stato che spesso nelle notizie riguardanti gli aracnidi si ricorre al sensazionalismo e all’allarmismo, contribuendo alla costruzione e alla circolazione di una percezione del rischio esagerata rispetto ai dati. Nel secondo studio, pubblicato su Current Biology, ci si sofferma su alcune dinamiche della circolazione globale di queste notizie, provando a capire perché le bestiole a otto zampe finiscano quasi sempre a interpretare la parte dei mostri perfetti. Del resto l’aracnofobia continua ad essere molto diffusa, che riguarda una parte della popolazione mondiale che secondo le stime va dal 3,5 all’11,4%; una percezione che tuttavia si scontra con la realtà dei fatti: secondo gli studi citati meno dello 0,5% delle specie di ragni può causare gravi danni agli esseri umani, peraltro in habitat che assai raramente si sovrappongono al nostro.

Mammola e soci però hanno continuato a studiare il fenomeno e, nell’ottobre del 2024, Plos One ha pubblicato un nuovo studio dal titolo esplicativo: “The influence of spider news on online information-seeking”. I ricercatori hanno ipotizzato che le notizie alimentino la paura verso i ragni e per questo hanno estratto 1.486 articoli in inglese da un database pubblico contenente un’analisi dei contenuti dei media online tradizionali relativi ai ragni. Tutti questi articoli sono stati pubblicati tra il 2010 e il 2020. Da questa estrazione poi, è stato analizzato se il volume delle ricerche correlate ai ragni su Google Trends, Wikipedia e iNaturalist aumentasse nella settimana successiva alla pubblicazione di ogni articolo.

Come raccontava lo stesso Mammola infatti, la paura dei ragni “è probabilmente la fobia verso gli animali più diffusa: le ragioni però non sono ancora del tutto chiare. C’è sicuramente una componente innata, come per i serpenti e tutti gli animali potenzialmente pericolosi, ma probabilmente anche un forte fattore culturale, dato che si continuano a produrre materiali che promuovono aracnofobia con una frequenza che va assolutamente al di là delle dimensioni effettive del rischio. Alcuni esperimenti ci dicono, ad esempio, che se si viene esposti a materiale informativo sui ragni o addirittura ai film su Spider Man l’aracnofobia si riduce. Quest’ultima rimane però fondamentalmente un mistero: animali potenzialmente più pericolosi, come vespe e api, non vengono stigmatizzati alla stessa maniera”. Per esplorare a fondo questa domanda quindi, la ricerca ha cercato di mettere delle premesse chiare. Solo 248 delle oltre 50.000 specie descritte infatti possono causare un avvelenamento grave nell’uomo. Significa che meno dello 0,5% di tutti i ragni conosciuti sono veramente velenosi per l’uomo.

Insomma, partendo proprio dal database di Mammola, sono stati estratti i dati e i metadati delle notizie. Stiamo parlando di 5.348 articoli unici riguardanti i ragni, pubblicati online tra il 2010 e il 2020 e provenienti da 81 paesi diversi. Da questo database, c’è stata una scrematura che ha riguardato tutte le notizie scritte in inglese, ovvero 1.486 articoli pubblicati in 13 paesi anglofoni.

Per ogni notizia su un incontro tra ragno ed essere umano, il database include una valutazione soggettiva del livello di sensazionalismo, considerando che le notizie sensazionalistiche usano spesso parole o espressioni emotive o esagerate. Tutti i dati provengono da tre fonti: Google Trends, iNaturalist e Wikipedia. Per ciascun articolo e per ciascuna fonte infine, sono stati raccolti i dati relativi al volume di ricerca per un periodo di 14 giorni, che include i 7 giorni precedenti e i 7 successivi alla data di pubblicazione.

I risultati

Da tutti i 1.486 articoli è stato riscontrato un andamento generale nei dati di Google Trends. Esisteva quindi un aumento del volume di ricerche, anche se la relazione non è stata significativa per tutti i termini di ricerca. Il volume di ricerca per “brown recluse” è risultato significativamente più alto nella settimana successiva alla pubblicazione degli articoli su questa specie, rispetto al termine base “spider”. L’aspetto più interessante emerso però, è il fatto che gli articoli sensazionalistici fossero associati a un aumento significativo del volume di ricerche rispetto a quelli non sensazionalistici.

Per quanto riguarda i dati di Wikipedia invece, questi hanno riportato come gli articoli riguardanti incontri tra esseri umani e ragni fossero associati a un aumento delle visualizzazioni delle pagine in seguito alla pubblicazione, rispetto agli articoli che trattavano di morsi. I dati delle osservazioni su iNaturalist infine non mostravano cambiamenti generali dopo la pubblicazione degli articoli ma hanno riportato una relazione positiva tra il numero mensile di articoli pubblicati e il numero mensile di visualizzazioni su Wikipedia.

L’obiettivo dello studio era quello di verificare se fosse possibile rilevare un cambiamento nel comportamento umano in seguito alla pubblicazione di notizie su incontri tra esseri umani e ragni. I risultati, secondo i ricercatori, supportano l’ipotesi che alcuni articoli abbiano un effetto misurabile, anche se debole, sul comportamento informativo online del pubblico generale. 

La paura dei ragni sembra essere un fattore culturale e i ricercatori hanno formulato due ipotesi per spiegare ciò. La prima è quella evolutiva, mentre la seconda è quella culturale. Le due ipotesi non si escludono a vicenda, ma capire a fondo qual è il loro peso non è semplice. Inoltre, i ricercatori concludono che “se i media possono contribuire a generare atteggiamenti negativi verso i ragni e altri animali temuti, possono anche promuovere atteggiamenti positivi. Considerando sia l’importanza ecologica dei ragni sia l’ansia e i danni collaterali legati all’aracnofobia, la continua cattiva rappresentazione degli aracnidi risulta irresponsabile”.

Anche in questo caso servirebbe un’attenzione più presente da parte di giornalisti per promuovere una giusta cultura. Quello dei ragni non è certo l’unico argomento su cui bisognerebbe prestare un’etica e un’attenzione maggiore. Ogni cosa che si scrive o si divulga tramite tutti i media ha delle conseguenze, a volte piccole, a volte più grandi. Le ha anche in termini temporali, a volte nell’immediato, a volte nel creare una cultura. Questo studio del National Biodiversity Future Center ne offre un’ennesima conferma.

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