Gli interventi di restauro degli ecosistemi marini servono e funzionano

May 2025 – Antonio Massariolo

Partiamo da un presupposto tanto chiaro quanto impressionante: negli ultimi 100 anni l’uomo ha distrutto o danneggiato una larga parte degli ecosistemi marini. Questo vale a livello globale ma anche locale. L’Italia infatti non fa a eccezione. Più del 30% delle praterie del coralligeno e di piante marine è stato danneggiato da impatti antropici e le foreste di alghe brune e i banchi di ostriche hanno perso fino all’80% della loro estensione.

Questi dati emergono da uno studio realizzato da un team internazionale, guidato da ricercatrici e ricercatori italiani del National Biodiversity Future Center (NBFC). Che sono partiti proprio da queste premesse, per capire quanto gli interventi di restauro di tali ecosistemi abbiano funzionato, anche alla luce delle nature restoration law, cioè la legge sul restauro della natura che porterà nei prossimi mesi tutti i paesi membri a definire gli obiettivi e le priorità di restauro degli ecosistemi danneggiati dall’uomo. In particolare, la legge dovrebbe portare i Paesi membri dell’UE a restaurare il 20% degli habitat marini degradati entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90-100% entro il 2050.

Lo studio, pubblicato su Nature Communications, ha analizzato i risultati di 764 interventi di restauro di ecosistemi marini in tutto il mondo. Gli habitat restaurati includono le praterie di piante marine, le barriere coralline tropicali, il coralligeno del Mediterraneo, le foreste di macroalghe, le foreste animali, le mangrovie e anche gli ambienti profondi.

L’analisi ha riportato un risultato chiaro che si può sintetizzare così: gli interventi di restauro degli ecosistemi marini servono e funzionano.

L’azione di restauro ha avuto un elevato successo in oltre 64% dei casi, risultando efficace anche in aree in cui l’impatto umano non è stato completamente rimosso. Un esempio concreto, citato nello studio, è quello del complesso industriale di Bagnoli (Napoli) o in aree caratterizzate da impatti multipli come l’Adriatico. 

“Si tratta di un contributo importante alle ricerche del National Biodiversity Future Center, il grande progetto PNRR che vede coinvolti i principali Enti di ricerca e Università italiane – ha dichiarato Simonetta Fraschetti dell’Università di Napoli Federico II e capo Spoke 1 NBFC -. Un settore del progetto, infatti, è proprio dedicato al restauro e alla conservazione degli ecosistemi marini. L’Italia ha competenze e capacità per facilitare con efficacia il recupero di molti degli habitat degradati che in modo crescente determinano una perdita netta in termini di beni e servizi ecosistemici, e che al contrario sono così importanti per settori strategici dell’economia italiana come il turismo blu”. 

Secondo l’analisi dei ricercatori infatti, i benefici del restauro sono molteplici, dalla mitigazione dei cambiamenti climatici all’occupazione. Un esempio concreto della ricaduta anche sul mercato del lavoro è quello del restauro delle foreste di macroalghe, che secondo i ricercatori produrrebbe un valore compreso tra 55.000 e 190.000 euro all’ettaro ogni anno. Dati simili anche per quelli delle piante marine, che possono arrivare a produrre circa 20.000 euro all’ettaro all’anno.

Roberto Danovaro dell’Università Politecnica delle Marche e coordinatore dello studio spiega poi che “lo sviluppo di nuove tecnologie per il restauro degli ecosistemi marini consente oggi di intervenire su aree sempre più ampie e di restaurare anche ambienti soggetti a forte inquinamento. L’efficacia degli interventi di restauro ecologico in mare è tale da non lasciare dubbi sulla possibilità di puntare con convinzione in questa direzione”. Una convinzione che ora è supportata anche dai dati.

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