Gli ecosistemi resilienti che non ti aspetteresti nelle città

May 2025 – Antonio Massariolo

Esistono delle soluzioni alla perdita di biodiversità basate direttamente sulla natura. Sono per l’appunto le Nature-based Solutions o in breve NbS, ed il concetto in questione è relativamente giovane. Grazie allo sforzo di diverse organizzazioni come l’ONU con il programma per l’Ambiente, la FAO, l’International Union for Conservation of Nature (IUCN), le Nbs sono pian piano entrate nei discorsi politici ed anche nell’immaginario comune.

 Per farla breve potremmo dire che non sono nient’altro che delle soluzioni basate sulla natura che hanno un doppio guadagno: aiutano a mitigare il cambiamento climatico, ma salvaguardano anche la biodiversità. A ciò si possono aggiungere tutte quelle dinamiche che si racchiudono nei benefici socio-economici di queste soluzioni. 

Quando pensiamo alle soluzioni basate sulla natura forse il primo pensiero non ricade nelle aree urbanizzate. C’è uno studio, pubblicato nella rivista scientifica Urban forestry & urban greenig di ElSevier, che, invece, cerca di concentrarsi proprio in tre aree metropolitane italiane, per capire come le caratteristiche ambientali delle aree verdi urbane impattano sulla biodiversità dei piccoli mammiferi, al fine di fornire indicazioni pratiche proprio per la progettazione e gestione di soluzioni basate sulla natura. L’analisi dei ricercatori del National Biodiversity Future Center si è concentrata su tre grandi aree metropolitane italiane: Milano, Firenze e Roma. 

La tecnica degli hair-tubes

In ogni città i ricercatori hanno selezionato decine di parchi, giardini, boschi urbani e spazi verdi di varia dimensione e struttura e, con degli hair-tubes, hanno identificato le specie presenti. Questa tecnica consiste nell’utilizzare dei tubi, solitamente in PVC, e di posizionarli  su arbusti o piccoli alberi per poi innescarli con delle apposite esche, che possono essere composte da semi di girasole, burro d’arachidi, frutta o altro. Nella fattispecie, in questo studio, sono stati utilizzati quattro tubicini in PVC lunghi 40 cm e con un diametro di 5 cm, ricoperti con nastro biadesivo lungo l’intera circonferenza interna di entrambi i lati del tubo per uno spessore di 8 cm. Due tubicini sono stati posizionati sul terreno vicino al colletto delle radici e due sui rami degli alberi, a circa 1,5–2 m di altezza, per campionare piccoli mammiferi sia terrestri che arboricoli. I tubicini sono stati innescati con burro di arachidi e controllati una volta al mese da giugno a novembre 2023. 

Le specie identificate

Complessivamente i ricercatori hanno identificato 14 specie di piccoli mammiferi: 4 considerate sinantropiche, cioè specie che vivono bene a stretto contatto con l’uomo, e 10 non sinantropiche, più esigenti in termini di habitat e quindi più indicative della qualità ecologica. L’obiettivo dello studio era quello di capire quali tipi di verde urbano favoriscono la biodiversità, e quindi possono migliorare la qualità della vita urbana per tutte le specie.

I risultati dello studio, inoltre, hanno messo in evidenza come sia la struttura dell’habitat ad essere il fattore che più influenza la biodiversità. Le specie sinantropiche, quelle che vivono più a stretto contatto con l’uomo, erano più comuni nei parchi urbani curati. Questo perché sono ricchi di infrastrutture e risorse alimentari legate proprio all’attività umana. Al contrario, le specie non sinantropiche preferivano le aree boschive e meno gestite, con una copertura arbustiva elevata:di fatto quelle che sono più simili a un ambiente naturale.

Più qualità, meno grandezza

Oltre a ciò, è interessante notare come la dimensione dell’area verde analizzata, sia stata meno importante della qualità dell’area stessa. Di fatto, anche degli spazi relativamente piccoli, se progettati in modo ecologicamente funzionale, possono ospitare una varietà di specie sensibili. Traslato nelle aree urbane, significa che non è tanto importante avere grandi parchi, quanto avere delle reti funzionanti di microhabitat. Un ulteriore aspetto interessante emerso dallo studio NBFC è il fatto che non sembrano esserci dinamiche di competizione tra specie sinantropiche e non sinantropiche. La loro distribuzione, infatti, è determinata principalmente dalla disponibilità dell’habitat e ciò implica il fatto che migliorare la qualità degli spazi verdi non favorisce solo una tipologia di fauna, ma può aumentare la diversità complessiva.

Lo studio mette in evidenza l’importanza di comprendere le dinamiche ecologiche all’interno delle aree verdi urbane per implementare efficacemente le Nbs per la conservazione della biodiversità. I risultati suggeriscono che le specie non sinantropiche sono per lo più escluse dai parchi ricreativi urbani a causa dell’assenza di condizioni di habitat adeguate. Riassumendo, potremmo dire che sono necessarie piccole aree ma di alta qualità, che, come dichiarato dai ricercatori, possono essere aree abbandonate e ripristinate passivamente o appezzamenti rimboschiti attivamente. Migliorando strategicamente la qualità dell’habitat in piccoli spazi verdi interconnessi, le città potrebbero ospitare ecosistemi resilienti che favoriscono elevati livelli di biodiversità e contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ecologica urbana.

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