“Sacchetti di plastica, bicchieri e altri rifiuti trovati nel punto più profondo del Mar Mediterraneo – L’inquinamento da rifiuti marini nei fondali del Mediterraneo è tra i peggiori al mondo”. È questo il titolo di una notizia pubblicata dall’Unione Europea a marzo 2025. Difficile, quindi, meravigliarsi quando le spiagge o le coste, che abitualmente frequentiamo, sono piene di plastica, giocattoli rotti, detriti, lattine, sacchetti, bottiglie di plastica, contenitori per alimenti, bottigliette di cosmetici, sigarette, penne e molto altro ancora.
Una “monnezza”, appunto, che perlomeno è visibile ma che porta con sé una conseguenza pericolosa per noi e per tutti gli organismi che quegli ambienti li vivono: le microplastiche. Uno studio pubblicato su Science of the Total Environment, condotto da un team di ricerca dell’Università di Messina e del CNR, ha analizzato l’inquinamento – dai rifiuti visibili fino alle microplastiche – in due spiagge di un’area marina protetta. Sebbene la densità di microplastiche fosse inferiore rispetto ad altre spiagge del Mediterraneo, sono state rinvenute numerose tipologie di rifiuti e riscontrati alti livelli di inquinamento, soprattutto nella spiaggia di Montorsoli. Detriti che “che rappresentano un potenziale rischio per la salute degli uccelli marini che si nutrono nell’area” scrivono gli autori.
Quando la plastica entra nei luoghi protetti
Spesso si pensa alla plastica come a un problema delle spiagge affollate o delle grandi città, ma nessun ambiente ne è davvero immune. Le microplastiche possono viaggiare con il vento, infiltrarsi nei suoli attraverso le acque piovane, arrivare con i fiumi, attraversare i mari, appunto. Inoltre, “le aree costiere sono soggette a un aumento esponenziale della densità di popolazione e allo sviluppo di attività antropiche, come industrie, turismo, attività ricreative, pesca e acquacoltura” spiegano gli autori. Studiare il loro impatto nei siti protetti è essenziale, perché mostra quanto è avanzato il livello di contaminazione , visto che gli agenti inquinanti hanno raggiunto quelle aree naturali che dovrebbero essere intatte.
L’avifauna viene spesso utilizzata come un indicatore ecologico e di biodiversità: se la diversità e l’abbondanza degli uccelli cala vuol dire che anche il resto dell’ecosistema è in pericolo. Le spiagge analizzate – la spiaggia di Montorsolo e la spiaggia di Piluni – si trovano all’interno di una Zona di Protezione Speciale, istituita anche per tutelare l’avifauna migratrice.
La loro contaminazione racconta molto delle nostre abitudini: dal consumo eccessivo di plastica usa e getta, all’abbandono dei rifiuti, fino all’impatto del turismo e dell’industria. I dati ci dicono che anche luoghi apparentemente incontaminati, come le aree protette, non sono al riparo dai nostri comportamenti. E per l’avifauna che li vive – e non solo – questi detriti possono determinare un pericolo: proteggere queste specie significa anche garantire la salute di questi ecosistemi, essendo gli uccelli sentinelle naturali della biodiversità.
Perché studiare la plastica nei luoghi protetti
I ricercatori hanno raccolto 3.443 rifiuti macroscopici in due spiagge, quella di Montorsoli più a Sud e quella di Piluni più a Nord, a 10 km di distanza l’una dall’altra e che affacciano sulla Calabria. La prima, sebbene chiusa al pubblico, è risultata essere la più contaminata, con una densità di 3 oggetti per metro quadrato. La maggior parte dei rifiuti era composta da plastica, seguita da ceramica e vetro. Come emerge dai risultati, sono stati rinvenuti moltissimi detriti, da aghi e siringhe, frammenti di ceramica e vetro, di lattine e posate usa e getta.
Anche le microplastiche hanno raggiunto valori importanti: a Montorsoli sono stati trovati 80,2 frammenti ogni chilogrammo di sabbia, contro i 28 della spiaggia di Piluni. Come descrivono gli autori, “Nella spiaggia di Montorsoli, tra le 127 microparticelle identificate, il principale polimero sintetico trovato è stato il PMMA (91%)”. Il PMMA è la sigla inglese per polymethylmethacrylate (polimetilmetacrilato) noto anche come plexiglass, è un polimero sintetico industriale con una vasta varietà di utilizzi.
Gli autori speculano che la causa potrebbe essere “la vicinanza della spiaggia di Montorsoli alle aree urbane e la sua esposizione a varie attività umane lungo la zona costiera, tra cui operazioni industriali, attività ricreative e porti di pesca” essendo questi “fattori riconosciuti che contribuiscono a livelli elevati di inquinamento da microplastiche”.
La spiaggia di Piluni, una destinazione turistica abbastanza popolare, invece, è risultata essere nel complesso più pulita rispetto a quella di Montorsoli e meno invasa dalle microplastiche. È stata rilevata “solo” una moderata abbondanza di plastica secondo la scala di valutazione utilizzata, nota come plastic abundance index (PAI). Secondo gli autori, ”Ciò è probabilmente dovuto alla sua posizione nel cuore dell’area protetta, dove sono stati compiuti maggiori sforzi di conservazione”.
Studio di questo genere possono rappresentare dei campanelli d’allarme: se la plastica arriva fin qui, nelle aree naturali protette, la gestione dei rifiuti attuale non sta funzionando. Le zone protette non sono bolle impermeabili: sono parte di un sistema più ampio, in cui ogni gesto – dal sacchetto lasciato per strada alla scelta del tipo di agricoltura – ha un impatto.