Le riflessioni nel libro La bianca scienza di Marco Boscolo, giornalista scientifico ed esperto in comunicazione della scienza, potrebbero usare i risultati della ricerca di Maurizio Sarà, professore di Zoologia all’Università di Palermo, come caso studio esemplare. Una scienza e una ricerca occidentale, reclusa a un gruppo ristretto della società, appartenente solo a una piccola parte di mondo ma produttrice della maggior parte della letteratura scientifica. Una scienza non esente da pregiudizi, neppure nello studio degli uccelli italiani.
Come scrive lo stesso Sarà in un revisione della letteratura pubblicata su Avocetta – Journal of Ornithology, “I risultati hanno mostrato che la ricerca ornitologica italiana è affetta da sciovinismo, o pregiudizio, tassonomico, un bias di produttività che affligge tutta la produzione scientifica globale sull’ecologia animale e della conservazione. Analogamente a quanto riscontrato in altre analisi bibliometriche sugli uccelli, alcuni gruppi ricevono più attenzione di altri. Nel caso italiano, i selvaggina, i gufi e i rapaci diurni sono statisticamente più studiati e i lavori prodotti hanno un maggiore impatto […] sulla comunità scientifica; al contrario i passeriformi, le anatre, le oche, le colombe, i piccioni e i picchi sono statisticamente meno studiati e con un minore impatto”.
Lo studio bibliometrico condotto dal ricercatore mostra uno squilibrio nella scelta delle specie studiate. Mentre uccelli come la rondine comune (Hirundo rustica) dominano la ricerca e l’attenzione degli ornitologi, il 17% delle 270 specie analizzate da Sarà non è mai stato oggetto di studio scientifico. Questo “pregiudizio tassonomico” evidenzia una lacuna critica in un momento in cui la pressione del cambiamento climatico è alta: le specie minacciate o in declino, magari meno note o carismatiche, tendono a essere ignorate nonostante la loro importanza per la biodiversità.
Perché è importante l’avifauna
Gli uccelli sono utilizzati come indicatori dello stato di salute degli ecosistemi. La loro presenza, distribuzione e abbondanza riflettono i cambiamenti ambientali, come la perdita di habitat o l’inquinamento. Questi animali, infatti, svolgono dei ruoli chiave negli ecosistemi, come il controllo delle popolazioni di insetti, la dispersione di semi e l’impollinazione.
Proteggere l’avifauna non è solo un imperativo ecologico ma anche culturale: in Italia, molte specie sono legate a tradizioni e paesaggi unici. Come spiega il professore:“L’inizio degli anni Venti di questo secolo è un momento chiave per la comunità ornitologica italiana” e, in parte, anche per un monitoraggio e una protezione più attenti. Nell’ultimo secolo, si sono rafforzati diversi programmi, come la Strategia nazionale per la biodiversità al 2030 che è stata rilanciata nello stesso anno di pubblicazione del nuovo Atlante degli uccelli nidificanti in Italia (2022). Questo atlante si somma ad altre due risorse: la seconda edizione dell’Atlante europeo degli uccelli nidificanti (The European Breeding Bird Atlas) e l’Atlante delle migrazioni degli uccelli africani euroasiatici (The Eurasian African Bird Migration Atlas).
E non solo: anche le università, gli istituti e i centri di ricerca svolgono un ruolo principe nel monitoraggio e nello studio dell’avifauna. Come emerge dai risultati dell’articolo, circa il 69% delle pubblicazioni è prodotto proprio da loro, da realtà pubbliche di ricerca, con una forte concentrazione di attività nel nord del Paese.
Come lo è il sito da cui stai leggendo questo articolo, che fa parte del National Biodiversity Future Center (NBFC), un’importante rete composta da università, centri di ricerca e istituti di tutta la penisola, finanziata dal ministero dell’Università e della ricerca attraverso i fondi dell’Unione Europea, dedicata esclusivamente alla biodiversità.
Il lavoro di analisi
Facendo riferimento all’Atlante degli uccelli nidificanti in Italia, il ricercatore Sarà si è occupato di valutare lo stato dell’arte di 270 specie di uccelli della penisola italiana. Lo studio ha utilizzato il database Scopus, uno dei più grandi database online, e si è concentrato su articoli che menzionavano direttamente specie nidificanti in Italia. Utilizzando due metriche di valutazione – il numero totale di articoli pubblicati per specie e il loro h-index, un indicatore dell’impatto delle ricerche – ha costruito una tabella mettendo così in ordine le specie più studiate e quelle meno citate, se non addirittura mai citate. Come scrive lo stesso ricercatore, le due metriche offrono risultati simili e sono paragonabili.
Emerge così che specie diverse ricevono attenzioni diverse, evidenziando come l’attenzione scientifica sugli uccelli italiani sia distribuita in modo squilibrato tra i vari gruppi. La rondine comune (Hirundo rustica), con 36 articoli e un h-index di 19, guida entrambe le classifiche, seguita dal falco grillaio (Falco naumanni) e dall’aquila reale (Aquila chrysaetos). Tuttavia, specie più rare e minacciate ricevono meno attenzioni, creando un vuoto conoscitivo. I risultati mostrano che la ricerca italiana privilegia specie comuni e facilmente accessibili, magari diurne, spesso legate ad habitat agricoli o montani, a discapito di specie forestali o generaliste.
Anche gli uccelli cacciabili ricevono un’attenzione significativa, soprattutto in ambienti alpini, influenzati anche dalla gestione dei flussi turistici. Tuttavia, anatre e oche, pur essendo importanti per la gestione venatoria e comprendendo specie minacciate come la moretta tabaccata e il fistione turco, risultano meno studiate, probabilmente a causa del loro areale geografico ristretto.
I passeriformi, il gruppo più ricco con 122 specie nidificanti, presentano una situazione complessa: circa un terzo delle specie ha pochissime pubblicazioni, mentre alcune, come la rondine comune, il passero d’Italia e il cannareccione, rientrano tra le più studiate. Questo squilibrio potrebbe essere dovuto alla vasta diversità del gruppo e alla necessità di più ricercatori per coprirne lo studio in modo adeguato. Complessivamente, solo il 18% delle specie italiane è ben studiato, mentre il 17% non è mai stato oggetto di ricerche scientifiche, evidenziando lacune conoscitive rilevanti.
Le ragioni di questa disparità includono la facilità di accesso alle specie comuni e il loro utilizzo come bioindicatori, grazie alla loro abbondanza e alla loro più ampia distribuzione. Specie come l’aquila reale e il biancone sono utili per monitorare i cambiamenti ambientali e l’impatto degli ecosistemi, ma altre specie rare, di nuova introduzione o meno carismatiche, spesso essenziali per l’ecosistema, vengono trascurate.
Infine, lo studio evidenzia l’importanza delle collaborazioni tra istituzioni accademiche italiane e straniere, ma sottolinea anche il divario tra ricerca accademica e gestione pratica della biodiversità. La scarsità di pubblicazioni su specie introdotte o minacciate riflette una mancata integrazione tra conoscenza scientifica e politiche di gestione della fauna. Colmare queste lacune richiederebbe un’analisi più ampia, includendo anche letteratura non accademica e pubblicazioni meno indicizzate, che rappresentano una risorsa ancora poco sfruttata. Per migliorare la protezione degli uccelli, è quindi necessario ampliare la rete di ornitologi e coinvolgerli nella gestione del territorio, permettendo così di indirizzare la ricerca verso specie meno conosciute, colmare le lacune e migliorare la conservazione.