Cianobatteri delle Alpi e dove trovarli

Feb 2025 – Benedetta Pagni

Sono organismi microscopici, solitamente di un colore che tende a volte al blu e a volte al verde, sono ritenuti i responsabili di un evento conosciuta come “la grande ossidazione” avvenuto 2,4 miliardi di anni fa e per secoli li abbiamo confusi per delle piccole alghe. Il loro nome è cianobatteri e sono un phylum di batteri fotosintetici, ossia in grado di usare la luce come fonte di energia e l’anidride carbonica (CO2) come fonte di carbonio.

La confusione su quanti siano, a che regno e phyla appartengano, chi faccia parte del loro gruppo e chi no, va avanti da secoli e arriva fino ai giorni nostri. Anche per questo motivo, un gruppo internazionale di scienziati, dall’Italia, alla Francia, all’Austria fino alla Slovenia, ha condotto una delle più grandi indagini sul territorio alpino per identificare le comunità di cianobatteri che vivono in questi ecosistemi. Grazie a una tecnica nota come metabarcoding del rRNA 16S, hanno identificato oltre 2.600 varianti genetiche (ASVs) di cianobatteri in 37 laghi e 21 fiumi della regione alpina. I risultati sono molto interessanti: le comunità di cianobatteri mostrano una diversità enorme e un sovrapporsi minimo tra gli habitat, confermando che questi microrganismi sono altamente adattati ai loro ambienti.

La loro importanza per il pianeta

Questi organismi microscopici sono tra i primi colonizzatori della Terra e giocano un ruolo cruciale nella produzione di ossigeno e nel ciclo dei nutrienti. Alcuni producono tossine pericolose, mentre altri sono essenziali per l’ecosistema, contribuendo alla stabilità degli habitat acquatici. In Italia, questi studi sono particolarmente rilevanti per monitorare la salute dei nostri laghi e fiumi, essenziali per l’agricoltura, il turismo e la biodiversità e, in generale, per monitorare l’ambiente che abitiamo.

Come si legge nell’introduzione di un paper pubblicato qualche anno fa (2013) dalle ricercatrici Beatriz Díez e Karolina Ininbergs: “I cianobatteri hanno plasmato per miliardi di anni la biogeochimica della Terra come nessun altro organismo. Hanno introdotto l’ossigeno elementare nell’atmosfera durante il Proterozoico (da 2,5 a 544 milioni di anni fa) e sono diventati i principali produttori primari di materia organica del pianeta. Nella prima evoluzione della vita, i cloroplasti (dei piccoli organelli cellulari che si occupano della fotosintesi, Ndr) delle odierne alghe e piante superiori hanno avuto origine da una relazione endosimbiotica dei cianobatteri con un’antica cellula eucariotica, dando origine a organismi tolleranti l’ossigeno e capaci di respirazione aerobica”.

Hanno diverse forme, diversi colori, vivono in ambienti caldi e freddi, coprono quasi tutte le altitudini, possono essere unicellulari, filamentosi o ramificati, i loro genomi sono sia molto piccoli che molto grandi (arrivano ad avere genomi grandi come quelli del moscerino della frutta), sono parte integrante del ciclo del carbonio e dell’azoto, sopravvivono in ambienti estremi come i deserti o i ghiacciai. E considerato che – come proseguono le ricercatrici Díez e Ininbergs – “I cianobatteri unicellulari planctonici Synechococcus e Prochlorococcus sono i produttori di biomassa e i fissatori di carbonio quantitativamente dominanti dell’ecosistema oceanico globale” viene da sé l’importanza che ricoprono questi microrganismi.

Una classificazione non facile

Inizialmente conosciuti come “alghe azzurre” per via del loro colore e della presenza di clorofilla, sono stati erroneamente associati alle piante per decenni. Tuttavia, il microbiologo canadese Roger Y. Stanier, nel 1970, ne confermò la vera natura batterica, portando alla loro ridefinizione come “cianobatteri”.

Il termine stesso ha subito numerosi cambiamenti, da Myxophyta e Schizophyceae a Cyanophyta, riflettendo l’incertezza della loro collocazione tassonomica. Fino alla metà del Novecento del secolo scorso, i cianobatteri venivano classificati secondo criteri morfologici, basati su caratteristiche visibili come colore e forma e struttura cellulare. Analisi che si sono dimostrate insufficienti per definire le loro reali relazioni evolutive, fino all’arrivo delle tecniche molecolari nella seconda metà del XX secolo, che hanno rivoluzionato lo studio dei cianobatteri e non solo. 

In particolare, l’analisi del gene rRNA 16S, introdotta per indagare le relazioni filogenetiche, ha permesso di ottenere un quadro più accurato della loro diversità ed evoluzione. Questo approccio ha evidenziato che la diversità morfologica dei cianobatteri non corrisponde alle loro relazioni genetiche, suggerendo che forme simili potrebbero essersi evolute indipendentemente più volte. Tuttavia, i dati disponibili rimangono limitati ed è necessario ampliare il campionamento per rappresentare meglio l’intera diversità del phyla.

La ricerca dietro (o dentro) i cianobatteri alpini

I ricercatori hanno raccolto campioni di acqua e di biofilm da laghi e fiumi della zona alpina fra il 2018 e il 2029, e sequenziando successivamente il DNA per identificare le specie presenti. I campioni sono stati suddivisi in base alla tipologia di area di raccolta: zona pelagica dei laghi (ossia nelle profondità delle acque) o dai biofilm della zona litorale dei laghi o dei fiumi. Inoltre, ogni area è stata campionata più volte durante il periodo di studio, considerando così i cambiamenti relativi alla stagionalità degli ambienti.

Per le analisi genetiche è stata utilizzata la Amplicon Sequence Variants (varianti di sequenza degli ampliconi, ASV) del gene 16S, una tecnica condivisa nel campo della metagenomica e microbiologia, utile anche per costruire gli alberi filogenetici che collegano specie diverse e non fra loro. Gli ASV sono dei raggruppamenti di varianti di sequenze simili tra loro che rappresentano l’unità tassonomica di una specie batterica in relazione a una soglia di similarità tra sequenze. In altre parole, aiuta a ricostruire l’evoluzione dei vari organismi nel tempo grazie al cambiamento di singoli elementi genetici. In questo caso, il gene utilizzato è il 16S, che codifica per un RNA ribosomiale, ossia per un componente fatto di materiale genetico essenziale per la costruzione del ribosoma, una complesso multimolecolare che fa da macchinario di traduzione per la costruzione di proteine nelle cellule. Il gene 16S è tipico della comunità batterica, mentre nelle cellule eucariotiche come le nostre è presente il gene 18S.

Dai risultati emerge anche che il biofilm nei laghi ospita una biodiversità molto più alta rispetto a quella presente nell’area pelagica, con alcune varianti genetiche presenti esclusivamente in determinati habitat. Infatti, i valori medi di ASV sono rispettivamente di 141, 42 e 14. Questo evidenzia l’importanza degli ambienti bentonici come rifugio di biodiversità. La maggior parte delle ASV sono specifiche di un unico habitat, con sovrapposizioni minime tra ambienti. Questa esclusività è attribuita a filtri ambientali che selezionano le comunità microbiche in base alle caratteristiche dell’habitat. I campioni pelagici mostrano una prevalenza di famiglie come Phormidiaceae e Cyanobiaceae, mentre nei biofilm dei laghi si osservano Nostocaceae, e nei biofilm fluviali Leptolyngbyaceae e Xenococcaceae. La diversità tassonomica è influenzata da fattori ambientali come nutrienti e ossigeno disciolto, che variano tra gli habitat.

Articoli correlati