Negli ultimi 30 anni c’è stata una perdita di diversità genetica in 400 specie

Feb 2025 – Antonio Massariolo

Quattro goal, 23 target, una prospettiva che va da qui al 2030 e tre macro obiettivi: uso sostenibile della biodiversità, la condivisione dei benefici derivanti dalle risorse genetiche e la conservazione.

Sono passati quasi tre anni dalla COP15 sulla biodiversità, quella tenutasi a Montreal e che ha dato via all’adozione del nuovo Global Biodiversity Framework, una serie di misure che hanno l’obiettivo di ridurre drasticamente la perdita di biodiversità su scala globale entro il 2030. Come si legge su Il Bo Live, il magazine dell’Università di Padova in un articolo dell’epoca, “i delegati degli oltre 190 Paesi dell’Onu che si sono incontrati a Montreal alla COP15 hanno trovato l’accordo intorno a un testo che prevede una serie di obiettivi riuniti in 4 Goals generali, che hanno validità fino al 2050, e 23 Target che fissano traguardi da raggiungere entro il 2030.

Il Goal A riguarda la tutela degli ecosistemi e prevede che il numero di specie minacciate da attività antropiche venga ridotto di 10 volte, mentre le estinzioni causate dall’uomo si dovranno ridurre a zero. Il Goal B riguarda i servizi che gli ecosistemi gratuitamente forniscono alle attività umane: a questi deve essere dato valore in modo da incentivarne la preservazione e, dove possibile, l’ampliamento.

La biodiversità è un patrimonio collettivo e in particolare lo è la diversità genetica di tutte le specie viventi, inclusa quella dei microrganismi, contenuta in banche dati che vengono utilizzate in moltissime ricerche scientifiche, incluse quelle che negli ultimi due anni hanno consentito di studiare le varianti pandemiche di SarsCoV2 e sviluppare vaccini contro di esse: il Goal C mira a regolamentare l’uso della biodiversità genetica garantendo che i benefici del suo utilizzo siano distribuiti equamente, anche tra le popolazioni indigene.

Ugualmente accessibili a Paesi in via di sviluppo e piccole isole dovrebbero essere i finanziamenti, le tecnologie e le conoscenze che consentono di raggiungere gli obiettivi fissati dal documento di Kunming-Montreal: il Goal D riporta che entro il 2050 serviranno 700 miliardi di dollari l’anno per l’implementazione delle misure di tutela della biodiversità globale”.
Ma se siamo arrivati ad un accordo tra 190 Paesi significa che la biodiversità è veramente a rischio? Lo sappiamo, la domanda è retorica e gli studi che parlano di ciò sono molti. Tra questi, da poco ne è stato pubblicato uno che ne racchiude molti. Si può leggere su Nature e si intitola Global meta-analysis shows action is needed to halt genetic diversity loss. I risultati del gruppo di ricerca, guidato dal dipartimento per la Biodiversità e la Conservazione del governo dell’Australia Occidentale e dall’Università di Sydney, e che ha visto un’importante partecipazione da parte dell’Italia, con Università di Sassari, Università di Trieste, Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Terni, National Biodiversity Future Center di Palermo e Fondazione Edmund Mach del Trentino Alto-Adige, parlano chiaro: la diversità genetica è in calo in tutto il mondo per animali, piante, funghi e altre specie. Negli ultimi 30 anni risulta, infatti, diminuita per circa due terzi di oltre 600 specie, e quelle più a rischio appartengono a uccelli e mammiferi terrestri.

I ricercatori, guidati da Robyn Shaw del dipartimento australiano e Katherine Farquharson dell'Università di Sydney 2, hanno fatto una meta-analisi su un campione di 882 studi che hanno misurato le variazioni nella diversità genetica tra il 1985 e il 2019. Si parla di oltre 4.000 misurazioni di diversità genetica con questo risultato: in media, le specie analizzate hanno perso il 6% della loro diversità genetica negli ultimi 100 anni. In alcuni casi, la perdita ha superato il 10%, un valore che potrebbe compromettere la capacità di adattamento delle specie alle rapide trasformazioni ambientali.

Un risultato non banale perché sappiamo che una grande diversità genetica è sinonimo di resilienza. Le specie con un patrimonio genetico ampio e vario riescono ad adattarsi meglio ai cambiamenti ambientali, così come reagiscono meglio ad attacchi di patogeni esterni. E in un clima che sta cambiando a una velocità che iniziamo a vedere a occhio nudo, tale patrimonio potrebbe essere un fattore non indifferente sulla capacità di adattamento e sopravvivenza delle varie specie.

Lo studio, di cui fanno parte anche ricercatori del National Biodiversity Future Center, identifica anche le cause e i fattori che stanno accelerando questa perdita. In primis, l’indiziato maggiore è il consumo del suolo: dalla deforestazione all'agricoltura intensiva fino all’urbanizzazione che frammenta gli habitat naturali, riduce le popolazioni, limitando così lo scambio genetico tra individui. In secondo luogo c’è lo sfruttamento eccessivo delle specie, seguito, non in ordine di importanza, dal cambiamento climatico. Conseguenze di ciò sono anche le epidemie sempre più frequenti e anche l’introduzione di specie aliene invasive.

Lo studio infine mette in luce come sia necessaria una presa di coscienza ed un’azione tempestiva per proteggere la biodiversità. Sono necessari corridoi ecologici per unire e collegare tra loro habitat frammentati, in modo tale da facilitare lo scambio genetico. È importante poi limitare lo sfruttamento delle risorse così come è fondamentale un ripristino degli habitat naturali. Senza queste azioni, ciò che hanno scoperto i ricercatori non potrà che peggiorare.

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