Ventidue linee genetiche sparse per l’intero territorio nazionale e una ricerca di quelli che sono stati i rifugi glaciali, visti come aree cruciali per la conservazione della biodiversità, dove le specie si rifugiavano durante i periodi di clima estremo e durante le ere glaciali.
L’obiettivo
L’obiettivo del gruppo di ricerca è stato proprio quello di identificare i principali rifugi glaciali italiani, per comprendere i processi che hanno consentito la sopravvivenza a lungo termine della biodiversità locale durante le passate ere glaciali. In particolare i ricercatori, utilizzando modelli di distribuzione delle specie (Species Distribution Models, SDM) calibrati per 22 linee genetiche di vertebrati terrestri endemici della penisola italiana, hanno cercato di ricostruire le condizioni climatiche e di distribuzione delle specie durante l’ultimo massimo glaciale, cioè la glaciazione Würm, avvenuta tra i 110.000 e gli 11.700 anni fa.
Lo studio
Lo studio, ha utilizzato dati genetici per identificare 22 linee genetiche di vertebrati terrestri endemici dell’Italia. La raccolta dei dati di ogni linea genetica è avvenuta da fonti diverse che vanno dalla letteratura scientifica, ai database pubblici e alla citizen science. Dopo aver raccolto i dati, i ricercatori hanno calibrato i modelli di distribuzione utilizzando variabili climatiche attuali e passate. Il focus è stato l’ultimo massimo glaciale, quando molti dei rifugi glaciali identificati si trovavano lungo le coste mediterranee. Sono aree e zone che ora sono completamente sommerse a causa dell’innalzamento del livello del mare.

I rifugi glaciali
In particolare, gli autori hanno identificato sei aree principali di rifugi multi-specie: Calabria, Puglia meridionale, costa del Cilento, costa della Toscana, costa del Lazio meridionale e Alpi liguri. Questi rifugi si trovavano in aree costiere che durante il Pleistocene erano coste, ma che ora giacciono sotto il livello del mare.
L’obiettivo, poi,era anche quello di capire come sia stata la risposta, in quanto distribuzione delle specie, ai cambiamenti climatici. Durante le fasi glaciali del Pleistocene, infatti, molte specie si sono ritirate in rifugi glaciali per sopravvivere, ma identificare con precisione la posizione geografica di questi rifugi è sempre stato un compito arduo. Esistono studi precedenti a quello di cui stiamo parlando, che hanno utilizzato dati recuperati dai fossili e dai pollini per comprendere la distribuzione delle specie. approcci, però, come dichiarano i ricercatori, hanno limiti di accuratezza sia dal punto di vista temporale che spaziale. I modelli di distribuzione delle specie offrono una soluzione a questo problema, permettendo di ricostruire le distribuzioni passate basate su variabili climatiche e ambientali.

Lo studio, di cui il primo firmatario è Andrea Chiocchio, è stato pubblicato nel Journal of Biogeography nel 2024, e, oltre ad aver localizzato con più precisione le aree che furono dei veri e propri hotspot di biodiversità, ha anche dimostrato come i rifugi glaciali non fossero del tutto statici. Lo studio, dal titolo From the mountains to the sea: Rethinking Mediterranean glacial refugia as dynamic entities, dimostra che le specie analizzate si sono spostate frequentemente tra rifugi situati nelle pianure costiere e le aree montane circostanti, seguendo i cambiamenti climatici. I rifugi glaciali, in questo senso, sono considerati “entità dinamiche,” che si spostano in risposta alle variazioni climatiche, piuttosto che rimanere stabili nel tempo. Spostamenti che, secondo i ricercatori, erano fondamentali per la loro sopravvivenza. Le specie si sono ritirate in aree di montagna durante le fasi glaciali, ma ma poi si sono mosse verso le pianure costiere durante le fasi interglaciali, quando le condizioni climatiche erano più favorevoli.
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