Le microplastiche anche nelle acque di grotta e nella loro fauna

Oct 2024 – Mattia Sopelsa

Plastica, plastica e ancora plastica. Il prodotto che ha rivoluzionato la società (il primo esemplare venne realizzato tra il 1861 e il 1862 con il nome di parkesine, ma il successo vero e proprio arrivò nel 1910 con la creazione della bakelite) è anche quello considerato come una delle principali cause di inquinamento al mondo. Sono i numeri, impietosi, a ricordarlo: nel 2021 sono state realizzate 390,7 milioni di tonnellate di materiali plastici, di questi la maggior parte raffinati a partire da combustibili fossili. 

L’aumento del consumo e le scarse politiche di smaltimento hanno reso questi derivati del petrolio il nemico numero uno dell’ambiente: non esiste ecosistema conosciuto sulla faccia del pianeta Terra a non essere stato intaccato. 

E se le plastiche sono un grande problema, le microplastiche lo sono ancora di più. Per la scienza, sono definiti microplastiche i polimeri con una dimensione compresa tra 5 mm e 1 un micrometro e la comunità scientifica ha posto ancora maggiore attenzione su di esse solo negli ultimi anni, quando sono state trovate negli ambienti più disparati e all’interno di molti organismi viventi, specie umana compresa. Ne esistono di due tipologie: primarie se realizzate intenzionalmente e usate per prodotti cosmetici e di bellezza o di vestiario; secondarie se originate dalla degradazione di plastiche disperse.

La diffusione delle microplastiche

 

Molti studi recenti hanno concentrato l’attenzione su questi micro-inquinanti e sulla loro presenza in diversi ambienti, anche remoti, vista la loro caratteristica di poter viaggiare con facilità e raggiungere aree lontane e potenzialmente incontaminate. Pochi si sono posti il problema di cercarli nelle zone sotterranee, come le acque di grotta, i fiumi sotterranei o gli acquiferi. 

Le groundwaters sono il più grande bacino di acqua dolce a disposizione e garantiscono l’approvvigionamento di acqua pulita a due miliardi di persone per cucinare, per coltivare e per svariati usi industriali nei paesi cosiddetti sviluppati e in quelli in via di sviluppo.   

Un nuovo studio, tutto italiano, ha cercato di colmare in parte questa lacuna, dimostrando come le microplastiche abbiano già contaminato fauna e flora in ambienti sotterranei acquiferi. 

Pubblicata sulla rivista Sustainability, la ricerca (Micro-)Plastics in Saturated and Unsaturated Groundwater Bodies: First Evidence of Presence in Groundwater Fauna ad Habitats ha preso in esame tre zone italiane, comprendenti due grotte carsiche e due pozzi di monitoraggio di un acquifero alluvionale saturo. 

Le ricercatrici e i ricercatori ricordano – innanzitutto – come ambienti di questo genere siano scarsamente resilienti nel caso di introduzione di elementi estranei alla biodiversità presente: “Questi ecosistemi sotterranei – si legge nella ricerca – ospitano la stigofauna che include specie vertebrate e invertebrate. Questi animali, spesso chiamati anche stigobiti, si sono evoluti per sopravvivere in aree con scarso ossigeno e scarsa luminosità”. Molti di questi si nutrono di batteri e virus, aiutando nell’eliminazione di organismi patogeni dall’acqua per il consumo umano e sono una chiave anche per il riciclo del carbonio organico negli ambienti sotterranei. Va da sé che investigare gli effetti delle microplastiche non solo negli ambienti ma anche nella fauna sotterranea è di grande interesse scientifico e di tutela dell’ambiente.

Le aree di studio

La prima zona presa in esame dallo studio è il complesso della grotta di Bossea, la prima area speleologica italiana aperta al turismo. Si tratta di un grande sistema carsico sito nella provincia di Cuneo a oltre 800 metri di altezza fra la Conca di Prato Nevoso ed il torrente Corsaglia, nel Comune di Frabosa Soprana. La grotta si estende per circa tre chilometri ed è formata da due sezioni distinte: Un fiume sotterraneo, chiamato Mora, scorre attraverso una gola scavata in roccia di marmo mesozoica. Al di sopra di questo canyon, esiste una complessa rete di antichi tunnel epi-freatici. La parte più a monte della grotta termina con due sezioni sommerse, collegate da un sistema di canali sotterranei, con profondità che raggiungono fino a 70 metri sotto la superficie. L’acqua della grotta riemerge a 812 metri. Queste acque ritornano in superficie sul fiume Corsiglia, un affluente del Tanaro, attraverso una serie di sorgenti. Dal 1969, all’interno della grotta, sono stati costruiti diversi laboratori sotterranei per studiare l’attività del radon, la biologia sotterranea, la climatologia e l’idrogeologia. 

La Buca del Vasaio del Motrone è una grotta inaccessibile al pubblico situata all’estremo margine sud-orientale delle Alpi Apuane in Toscana. La grotta si estende all’interno di calcari silicei con un andamento orizzontale. La lunghezza complessiva è di circa 600 metri con un dislivello totale di circa 110 metri. La grotta raccoglie le acque di infiltrazione di un altopiano sovrastante alimentando una circolazione idrica semi-dispersiva. La percolazione forma gocce e veli d’acqua sulle pareti che si raccolgono in piccole pozze e laghi, alimentando un piccolo ruscello il cui flusso raramente supera 1 L/s.

Il corpo idrico sotterraneo alluvionale, Piana alluvionale di Firenze–Prato–Pistoia, che copre un’area di 191 km² in Toscana, ospita un acquifero misto confinato–non confinato, costituito da vari complessi idrogeologici con permeabilità variabile strettamente correlata alla granulometria media delle singole unità litostratigrafiche.

Per giungere ai risultati, sono stati raccolti quattro campioni di acqua e quattro di stigofauna tra il 2022 e il 2023: la scelta di aree così diverse è stata presa proprio per verificare i test in ambienti diversi. Gli esemplari di stigofauna sottoposti ad analisi appartengono tutti ai crostacei. In particolare, sono stati esaminati un Proasellus franciscoloi dell’Ordine Isopoda, 15 copepodi dell’Ordine Harpacticoida, 6 copepodi dell’Ordine Cyclopoida e 19 individui della Classe Ostracoda.

I risultati

Le microplastiche sono state rinvenute in tutti i campioni d’acqua analizzati e provenienti dai tre siti individuati. Fibre sono state trovate anche all’interno della stigofauna presa a campione. L’analisi chimica ha rivelato che la cellulosa è il polimero più comune, con il polietilene tereftalato prevalente in alcuni campioni. L’analisi dei polimeri dei campioni faunistici ha anche identificato la cellulosa come il polimero predominante, con variazioni nella distribuzione dei polimeri tra i diversi gruppi faunistici. Questi dati evidenziano un problema diffuso di contaminazione nelle acque sotterranee. Le acque sotterranee costituiscono fino al 99% delle risorse idriche liquide della Terra e, in molti paesi europei, sono utilizzate principalmente per scopi potabili.

La presenza di contaminanti emergenti in questa risorsa naturale potrebbe minacciare la sua qualità e rappresentare un potenziale rischio per la salute. Il gruppo di studio ricorda come questi siano risultati da considerarsi come preliminari ma che richiedono – con urgenza – ulteriori studi per comprendere al meglio il livello di contaminazione da microplastiche negli ambienti acquiferi sotterranei. I motivi per farlo sono evidenti: non solo per i potenziali rischi collegati all’uso umano di queste acque, ma anche per i rischi di distruzione della biodiversità in zone finora così poco intaccate da inquinanti di origine umana. 

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